Non è che Gianluca De Rubertis sia proprio l’ultimo degli arrivati, anzi.
Noi di IFB lo avevamo già (ri)scoperto in un bollettino di qualche tempo fa, sconvolgendoci di fronte al coraggio di “Pantelleria”, brano sfrontato ed utile fin da subito a dichiarare le cattivissime intenzione dell’ex-Il Genio e ricordare a tutti che comunque, il buon Gianluca, geniale lo è ancora, eccome.
Che poi sembra davvero limitante, per un artista poliedrico ed eccentrico come De Rubertis, vedersi incastrato nel ricordo (sempre vivissimo, e sempre di più tra i più giovani) della celebre hit de Il Genio; Gianluca, infatti, ha da sempre declinato nelle più svariate forme e sostanze la sua continua e irrefrenabile emorragia di idee e musica, capace di dare corpo ad una discografia di tutto rispetto che trova in “La violenza della luce” solo l’ultimo capitolo di una produzione florida, originale e fin troppo sconosciuta al grande pubblico per poter oggi esimerci dal ribadire che sì, De Rubertis è una delle più interessanti penne del panorama italiano contemporaneo proprio perchè pare esserne, a tratti, completamente avulso.
Detto questo, la sua scrittura certamente affonda le radici nella miglior tradizione d’autore. L’ironia, in mano ad un abile artigiano come De Rubertis, diventa un’arma utile a far scivolare l’ascolto con leggerezza (che non vuol dire superficialità , come insegna il maestro Calvino) sulla prolissità gravida e feconda degli otto brani del disco, chicche di stile e autoralità figlie del miglior cantautorato italiano: il De Andrè più veemente – quello de “La Domenica delle Salme”, per intenderci – ammicca in diversi passaggi del disco e soprattuto in “Voi mica io” (vuoi anche per una vicinanza timbrica, che collega in un triangolo focosissimo il cantautore genovese a Gianluca e a Bianconi), ma Battiato sembra essere uno dei riferimenti centrali in brani come “Pantelleria” o “La violenza della Luce”, sopratutto per quanto riguarda le scelte stilistico-melodiche (basti pensare agli strings sintetici di “Nel cuore del cuore”, che ad un battiatiano come me scatenano nella memoria reminiscenze di “Patriots“). Poi, però, dentro il nuovo disco di De Rubertis c’è sopratutto tanto, tantissimo De Rubertis.
I vari ingredienti e prestiti di partenza, che il cantautore lascia emergere con estrema onestà intellettuale nel gioco di citazioni sottili del disco, vengono distorti e trasformati (pur senza disperderne l’originale fibra) dallo sguardo caleidoscopico di una scrittura imprevedibile, capace di permettersi – perchè perfettamente in controllo della disciplina – voli pindarici e descrizioni auliche che, senza soluzione di continuità , sfociano in immagini e fotografie fortemente terrene e materiche, in un incontro continuo e regolamentato tra alto e basso, sacro e profano.
Ed è così che nell’alchimia inedita di “La violenza della luce” trova espressione un mondo interiore, certo, ma estremamente universale perchè capace di poggiare le sue riflessioni su caratteri intimi quanto profondamente umani: non esiste realmente – ed è enunciato sin da subito, a conclusione della prima rabbiosa traccia del disco – un “io” e un “voi” a dilatare distanze inesistenti tra vissuto personale e dramma esistenziale condiviso; De Rubertis è una monade, sì, ma in un mondo fatto di unicità da tutelare, difendere e lasciar emergere, capaci di riconoscersi a vicenda e di ricongiungersi in un abbraccio che finalmente (così noi di IFB speriamo) possa dare a Gianluca quello che merita.
Perchè la bellezza richiede attenzione, fede e militanza, e De Rubertis è un patrimonio che abbiamo il dovere di scoprire e ri-scoprire, per non perdere di vista le cose che contano davvero.