Nel momento in cui mi adopero a buttare giù queste righe di recensione riguardo a quest’ultima fatica dei Gorillaz, è già trascorsa una settimana dalla sua uscita e, contrariamente a quanto faccio di solito (per non farmi influenzare), sono andato a spulciare su e giù per il web i vari ed innumerevoli commenti ed opinioni su “Song Machine, Season One: Strange Timez”. Bè, ce ne per tutti i gusti ed anche voi amici lettori di IFB di sicuro ne avrete lette tante.
Questo pleonastico preambolo solo per dirvi che personalmente ritengo questo settimo lavoro della cartoon band più famosa del globo un autentico gioiello anche con il corposo minutaggio nella deluxe edition di ordinanza – con ben 17 brani – che, vi assicuro, scorre rapido come uno snowboard impazzito sul ghiaccio.
Ebbene, ci troviamo di fronte ad un variopinto luna park dove Albarn e soci si divertono e assicurano a loro volta il nostro di divertimento tra vertiginose rollercoaster ma anche rilassanti ruote panoramiche (come in “The Lost Chord” con la partecipazione di Leee John, e in “Friday 13th” con Octavian). Un disco che ha ricevuto numerose critiche positive ma anche tante negative colpevole di non avere una identità ben precisa ma di rappresentare di fatto una compilation.
Ed è esattamente qui che risiede il genio e l’estro del maestro Albarn, il saper coniugare le innumerevoli partecipazioni scolpendo, invece, una ben ordinata e nitida identità ad ogni singolo episodio di questo incredibile disco. E, quindi, non appare sorprendente come Beck ma anche Peter Hook (qui insieme a Georgia) fanno il verso a loro stessi regalandoci rispettivamente uno dei migliori pezzi di Beck (“The Valley of The Pagans”) e New Order (“Aries”) degli ultimi anni dentro un sound come di pura matrice Gorillaz.
Senza contare, poi, che anche mr. Robert Smith – in attesa che ci renda omaggio del suo nuovo disco a firma The Cure, a quanto pare dalla lunga gestazione – si rivela in uno stato di grazia inaspettato che si riverbera in una delle migliori tracce del disco (“Strange Timez”). Ecco, appunto, una delle migliori. Man mano che l’impianto messo in piedi dalla banda di Murdoc, Russel, Noodle e 2D – che quest’anno, tra l’altro, compie ben vent’anni di attività celebrati con il gigantesco almanacco e con un film per Netflix in fase di progettazione – procede a ritmo sostenuto, si srotola nelle differenti divagazioni che toccano ambienti hip-pop, funk, punk rock/elettronica con spruzzate di ska (come in “Momentary Bliss” con Slaves e Slowthai), territori downtempo (con l’irresistibile “Pac-Man” con ScHoolboy Q) ma anche bossanova (la bellissima “Dèsolè” con il featuring di Fatoumata Diawara), synth-pop e duetti improbabili come quello tra sir. Elton John e il rapper statunitense 6lack in “The Pink Phantom”. Uno spettacolo.
In realtà , ogni brano dell’album contribuisce a cementificare ancor di più l’indiscusso genio di Albarn che in tutte le collaborazioni risveglia il meglio dei singoli artisti. Brani incredibili come il pop di “Chalk Tablet Towers” con la voce di St. Vincent, oppure “Dead Butterflies” (ft. Kano and Roxani Arias), ma anche “MLS” con il featuring di JPEGMAFIA & CHAI o ancora la partecipazione di Joan As Police Woman o del compianto batterista Tony Allen, vecchio amico di Albarn dai tempi di The Good, the Bad & the Queen, completano un lavoro di regia superlativo e convincente.
Insomma, varietà e divertimento, ricchezza di contenuti e raccolta di gemme rinchiuse in un album spaziale e spazioso composto da intramontabili interpreti e che difficilmente dimenticheremo.