Negli anni Settanta una generazione intera era impegnata a creare nuovi paesaggi, stupire e soprattutto far ascoltare la propria voce. Patti Smith stava costuendo il suo particolare linguaggio espressivo, intrecciando musica e poesia; è così che nacque “Gloria“, il seme da cui poi sarebbe germogliato un album fondamentale per la storia del rock. “Gloria” era una presa di posizione netta e decisa, l’affermazione di un diritto alla creazione artistica che andasse oltre l’appartenenza ad una specifica categoria sociale, sessuale o politica.
“Horses” era ed è, di conseguenza, un album pervaso dalla presunzione e dall’ingenuità giovanile di poter rivendicare ed ottenere i propri spazi espressivi; col tempo abbiamo imparato, a nostre spese, che ogni centimetro, invece, va conquistato e difeso; abbiamo imparato che nessuno ti riconosce nulla ed addirittura anche i diritti acquisiti con le lotte del passato possono essere messi in discussione in un attimo; è sufficiente che l’irrazionalità e la paura – alimentate ad arte dall’efficiente sistema di potere mediatico – si diffondano tra le persone comuni ed il gioco è fatto.
Musicalmente l’album è grezzo, puro ed onesto, un miscuglio di proto-punk e garage-rock, su cui Patti Smith alternava versi cantati e recitati, tentando d’esser diretta e passionale, senza perdere il romanticismo intrinseco di quelli che erano stati concepiti come dei testi poetici e che poi si erano via, via trasformati ed adattati a quella forma di rock d’avanguardia che cercava sia di anticipare il futuro, che di riallacciarsi allo spirito più genuino ed innocente del rock’n’roll americano.
Ma “Horses” non voleva essere solamente un disco politico, esprimeva anche il bisogno di Patti di ricercare e trasmettere agli altri la propria spiritualità ; l’album guarda alle radici più profonde dell’America, a John Coltrane, a Jim Morrison, ad Arthur Rimbaud, a William Burroughs, agli antichi sciamani, al loro speciale rapporto con Dio, alla loro strabiliante capacità di riconoscerne la presenza in un temporale, in un semplice cespuglio che prende fuoco; tanto nei sussurri, quanto nei capricci distruttivi della natura. Allo stesso tempo il disco guarda anche all’essere umano, al Prometeo che rivendica, con forza e sfrontatezza, la propria libertà e la propria indipendenza, materializzandosi nei luoghi più bistrattati, marginali ed abbandonati della grande metropoli; materializzandosi nei bar, nelle bettole o sul palco del CBGB; materializzandosi nelle sonorità rumorose e taglienti dei Television o dei Velvet Undergound; dando forma e consistenza a quel seme ostinato e selvaggio di punk primordiale, che, come un cavallo imbizzarrito, avrebbe gettato all’aria gli antiquati ed obsoleti schemi e modelli dell’hard e del progressive rock degli anni Settanta, rivendicando il diritto punk di ciascuno ad imbracciare il proprio strumento e metter su una band.
Pubblicazione: 10 novembre 1975
Durata: 43:10
Dischi: 1
Tracce: 8
Genere: Proto-Punk
Etichetta: Arista Records
Produttore: John Cale
Registrazione: agosto – settembre 1975
1.Gloria
2.Redondo Beach
3.Birdland
4.Free Money
5.Kimberley
6.Break It Up
7.Land
8.Elegie