L’animo cosmopolita della Drag City non è certo una novità e neppure l’indole avventurosa dell’etichetta di Chicago capace di scoprire, resuscitare e sdoganare artisti di varia natura e provenienza in trent’anni di onorata attività . Uno dei numerosi meriti è indubbiamente l’aver dato visibilità ai Ghost di Masaki Batoh, vera istituzione in Giappone e in attività fin dal 1984. Un’ esperienza musicale basata su chitarre acustiche, strumenti etnici, tablas, oscillatori e banjo con una scelta sempre originale dei posti in cui suonare, baldanzosamente andata avanti fino al 2012.
Due anni dopo Masaki Batoh ha messo insieme i The Silence, un power trio tiratissimo in cui imbraccia la chitarra elettrica e può sfogare tutto l’amore per l’hard rock accompagnato da Futoshi Okano alla batteria e Taiga Yamazaki al basso col jolly Ryuichi Yoshida al sassofono baritono e al flauto. Quattro album beatamente sospesi tra furore e gioia, calma e una frustrazione elettrica che in questo quinto lavoro diventa più meditabonda senza perdere grinta o avvertire cali di tensione.
Ci sono momenti che ricordano i passaggi più quieti dei Ghost in “Electric Meditations”, una monumentale “Improvisation” e la conclusiva “E/A” in particolare, ma sono spettri benevoli che non spaventano anzi rendono ancora più evidente il distacco tra ieri e oggi. Il presente dei The Silence è fatto di concretezza, fluidità e rumore a partire dalla rivisitazione scatenata di “I’m a Man” ispirata alla ben nota versione fatta dagli Yardbirds del pezzo di Bo Diddley (da affiancare alla cover di “Louie Louie” presente su “Nine Suns, One Morning”).
Echi no wave si rincorrono in “Tsumi to Warai” col suo incalzante giro di basso, il dinamismo domina “Butterfly Blues” con quel flauto molto à la Jethro Tull, “Meido Nisshi” è una cavalcata epica e vibrante, la title track con i suoi quasi otto minuti tra prog e distorsione mette in mostra una granitica confidenza. Il rock è morto? No, ha solo cambiato residenza. Vive da tempo in Oriente.
Credit foto: Kazuyuki Funaki