Per parlare di questo piacevole esordio dei Bluedaze è giusto partire da quanto dicono i ragazzi stessi: “Quanto può essere figo surfare il cielo? Secondo noi moltissimo. E poi c’entra con l’equilibrio, anche. Quell’equilibrio che ci sforziamo di trovare ogni giorno della nostra vita. Tra tutte le cose che gli altri si aspettano da noi, tra gioia e tristezza, tra luce e ombra, ecc. E’ proprio per questo che Skysurfers ha al suo interno tutte quelle sfumature emotive: a volte è groovy, altre volte malinconico, poi torna ad essere solare. Perchè tutti noi siamo tutto questo, ogni giorno“.
Finalmente un po’ di parole che sanno dar l’idea di un disco, senza tante considerazioni cervellotiche o vanagloriose esaltazioni in merito a spunti inesistenti.
Il quartetto di Varese cerca realmente un equilibrio, in bilico tra suggestioni liquide che tenderebbero a tenerci gli occhi chiusi per farci assaporare ancora il sogno e quella realtà più fisica che invece coincide con una sveglia che suona e, seppur con i nostri ritmi, proviamo a renderci conto che il mondo ci chiama. Mai troppo impalpabili ma nello stesso tempo mai così spigolosi da incalzarci in modo prepotente: l’equilibrio di cui parlavamo prima è raggiunto anche grazie al preciso lavoro di Martino Cuman in cabina di regia.
Alcuni brani risultano essere sicuramente più ficcanti e incisivi rispetto ad altri, ma alla fine personalità e cura dei dettagli non mancano ai Bluedaze, che tra onde psichedeliche, profumi surf, chitarre acide (ma non troppo) e lo sguardo al passato (senza risultare fuori tempo massimo) dimostrano che puntare su di loro non è affato un delitto. Bravi.