Francesco Pellegrini, che da solista abbiamo imparato a chiamare “Maestro”, non è più soltanto il chitarrista degli Zen Circus o l’ex Criminal Jokers – dove mosse i suoi primi passi musicali l’amico Francesco Motta – ma un cantautore con una sua precisa identità e personalità . E soprattutto è un’artista di valore.
Questo il giudizio se ci si attiene alla sfera prettamente professionale, se invece mi dovessi azzardare a mettere in evidenza alcuni tratti della sua persona, allora mi verrebbe da spendere a maggior ragione buoni aggettivi, e a dire il vero non posso esimermi dal farlo, visto che le qualità che ho riscontrate in lui sono preziose, anche se in un mondo ideale non dovrebbero poi essere così rare.
Il Maestro è infatti gentile, pacato, educato, anche timido per sua stessa ammissione (come ci disse in una lunga intervista di qualche mese fa) ma con un mondo interiore che premeva per uscire fuori.
Eccolo qui il suo mondo, parte del suo vissuto e delle sue emozioni riversate in nove canzoni in cui il Nostro non teme di mettersi a nudo, anzi, gli viene quasi naturale, a iniziare dal titolo dell’album che è tutto un programma: “Fragile”.
Non bisogna d’altronde vergognarsi di esserlo, nè di mostrare le proprie fragilità , specie alle persone a cui si vuole bene. In fondo da qui passa l’autenticità , quella vera (scusate il gioco di parole, quasi ridondante ) e tra i solchi di queste canzoni, apparentemente semplici nella sua costruzione, la si trova a piene mani.
La pandemia c’ha messo del suo nel ritardare quella che nei propositi di Pellegrini doveva essere un’uscita diversa, magari corroborata da esibizioni live – con quelle soddisfazioni che già aveva iniziato a raccogliere sul finire dell’anno scorso, quando aveva avviato una serie di concerti – ma ciò gli ha dato modo di ragionare ancora di più su questo progetto e sui suoi significati.
Dapprima pubblicati in due diversi Ep (“Fragile, Vol. 1” e “Fragile, Vol.2”), gli otto brani sono infine stati raccolti in un unico album, ai quali si è aggiunto l’inedito “Francesco”, impreziosita dalla presenza del già citato Motta, per una storia d’amicizia e di vita, quella che lega i due artisti sin dai tempi appunto dei Criminal Jokers, quando il sogno di fare musica si stava in qualche modo avverando. Nonostante le strade dei due artisticamente si siano divise, è innegabile sia rimasto un bel rapporto, di immutata stima, destinato a durare nel tempo. E’ oltretutto un pezzo che si discosta leggermente dal resto della scaletta, per la preponderanza di suoni elettronici, altrove meno accentuati.
Il topos letterario del disco come detto è incentrato su temi esistenziali, con cenni più spiccatamente autobiografici, come nella dolce “Inattaccabile”, che descrive il rapporto solidissimo con la sorella Chiara, tra ricordi di infanzia e consapevolezze adulte. Ben congegnato musicalmente, vanta anche un ritornello tra i più felici e riusciti dell’intero album.
Sono molte tuttavia le canzoni che si lasciano ricordare e che, senza fare ricorso ad astruserie narrative o arrangiamenti troppo complessi, ci arrivano intatte in tutta la loro forza espressiva, cominciando da quella “Siamo noi” – posta in apertura di scaletta – che intende rivolgersi a una collettività che ancora riesce ad andare avanti e a mettersi in discussione.
Altro brano personale ma che possiamo allargare a una categoria già più precisa è la briosa “Semplice”, un’ode davvero incisiva e a tratti ironica sulla vita dei musicisti, in cui interviene anche Lodo Guenzi de Lo Stato Sociale: un pop facile facile ma di indubbia classe.
Altro episodio più leggero è la sbarazzina “Ci dovranno legare”, che non sfigura nel novero dell’indie pop contemporaneo; a conti fatti, appare questo il suo genere di riferimento, pur se flirtato con un’attitudine di stampo cantautorale in grado di emergere in quei pezzi più riflessivi.
In questa serie vanno annoverati senz’altro “Cent’anni”, dove Pellegrini mette nero su bianco un altro pezzo saliente della sua vita: il dover lasciare la propria città alla ricerca di una strada tutta da percorrere ma ancora da scrivere, con inoltre le paure connesse. La passione e la motivazione però alla fine fungono da benzina per continuare ad andare avanti e pertanto non c’è traccia di pentimento alcuno nella scelta fatta: da rimarcare qui pure la presenza di Appino e di Giorgio Canali.
Anche “A volte ti capisco” si riallaccia al tema del dubbio e della precarietà , laddove il protagonista si trova ora alle prese con delle decisioni drastiche, per le quali è necessario assumersi ogni responsabilità . Dalla musica movimentata e inquieta, è caratterizzata da un’interpretazione convincente, forse la più a fuoco di tutto l’album.
Ho tenuto per ultime quelle che considero le due canzoni, non dico migliori, ma senz’altro quelle in cui avverto maggiormente impressa la sua poetica sognatrice ma allo stesso tempo ben ancorata alla realtà quotidiana, fatta di inevitabili alti e bassi, di momenti da ritagliare e conservare e altri in cui si è presi invece dallo sconforto.
In “Boxe” (corredata da un video in bianco e nero elegante e genuino, a tratti intimo) Francesco ci apre un ulteriore pezzo di cuore, parlandoci della sua storia d’amore; mentre in “Smettere” racconta un momento corrispondente a un travaglio interiore, quando era arrivato al punto di interrogarsi sull’importanza di continuare o meno a studiare il fagotto, strumento con cui si stava specializzando.
Uno di quei periodi di “fragilità ” appunto, riallacciandomi quindi al senso del disco, come una sensazione, una percezione che prima o poi tocca tutti ma che può oltremodo essere indispensabile per aiutarci a tirar fuori il meglio di noi. Superata la fase difficile, infatti, ci si sente più forti e anche più arricchiti… e così, proprio in coda a questo bel brano, stavolta sì dal forte imprinting cantautorale, si sente un assolo di Pellegrini con questo affascinante strumento a fiato!
“Fragile” è senz’altro un buon disco di debutto, musicalmente omogeneo, ben suonato e prodotto, in cui però sembra che Maestro Pellegrini non abbia voluto strafare, quasi a tenere ancora un po’ nascosto tutto il suo talento compositivo, o a non voler fare per il momento il passo più lungo della gamba.
Si sente tuttavia quanto ogni aspetto sia stato ben ponderato, tanto che nessuna parola e nessun suono appaiono fuori posto; in fondo la cosa migliore è che ogni disco sia la fotografia esatta di un percorso, di una vita, e in questo senso non possiamo che ringraziare l’autore di aver assolto al meglio il suo compito.
Credit Foto: Valentina Cipriani