Un esimio manipolo di veterani si cela dietro il nome SUSS. Jonathan Gregg, Gary Leib, Bob Holmes e Pat Irwin hanno infatti suonato con musicisti del calibro di Lydia Lunch, the B-52s, k.d. Lang, David Bowie, John Cale, Wilco, Norah Jones, The War On Drugs e Burt Bacharach prima d’inventarsi questo piccolo supergruppo ispirato da avventurosi esploratori sonori come Daniel Lanois, Brian Eno, Boards of Canada ma anche Pink Floyd e Kraftwerk.
“Promise” segue a stretto giro di posta il primo album “Ghost Box” e il secondo “High Line”. Una vera odissea tra ambient, country, psichedelia a suon di chitarre e sintetizzatori, pedal steel e loop montati, combinati, intrecciati finemente in quello che i SUSS chiamano “pastoral psychedelicism“. Atmosfere oniriche, sognanti quelle esplorate in questi quaranta minuti che iniziano con gli arpeggi dolci e l’armonica di “Midnight” e proseguono con l’enfasi tutta strumentale di “Drift”, “Home”, “No Man’s Land” che ricorda l’omonimo e premiatissimo film di Danis Tanović.
Brani che hanno il piglio di un western girato nello spazio ma in realtà fanno i conti con le promesse non mantenute del sogno americano. “Mission”, “Echo Lake” e “Winter Light” formano un’ideale trilogia all’interno del disco: affini in sound e composizione, non a caso inserite una dopo l’altra, creano un clima di dolce tensione stemperato nel finale da “Nightlight” che chiude il cerchio col suo mix di sintetizzatori e pedal steel permettendo a “Promise” di rompere gli indugi e prendere il volo con grazia.