Arriva con leggero ritardo il nuovo disco dei Landshapes, previsto per fine novembre e pubblicato solo a metà dicembre a causa dei problemi di stampa e distribuzione del formato vinile. La scelta di posticipare l’uscita dell’intero album è venuta naturale alla band londinese, sempre molto attenta a garantire gli stessi diritti a chi ama lo streaming e ai cultori del supporto fisico. “Contact” rappresenta un nuovo cambio di rotta per il quartetto che avevamo imparato a conoscere con la psichedelia venata di folk esplorata in “Rambutan” e il sound tagliente di “Heyoon”.
Canzoni brevi, esplosive, meno spensierate, che fanno emergere ancor più che in passato la caotica energia creata da Dan Blackett, Luisa Gerstein, Heloise Tunstall-Behrens e Jemma Freeman. Si alternano al microfono e all’occorrenza si scambiano ancora gli strumenti (il loro marchio di fabbrica) in un vibrante, oscuro e e rumorosissimo turbinio di batteria, sintetizzatori, basso e tanta chitarra. L’inizio è affidato al singolo “Rosemary” che col suo incedere ipnotico e tempestoso mostra un lato cattivo finora meno evidente nella musica dei Landshapes.
Impressione confermata dalle melodie distorte di “Siberia”, tre minuti di elettro pop spaziale e sincopato che sfociano in “Drama” ovvero relazioni di coppia raccontate con un filo di esasperata ironia. Prima puntata di una piccola trilogia sentimentale che comprende anche la ritmata e acido romantica “The Ring” e “Real Love Is Dead” che esplora il mondo di Tinder con piglio syth pop. Si apre così una seconda parte del disco più riflessiva, con ampio uso di vocoder per raccontare fragilità (“I’m Mortal”) e dubbi (“Dizzee”).
Chiudono il cerchio una dichiarazione d’indipendenza d’indole punk chiamata “Let Me Be”, rumorismi furosi (“Just A Plug”) e la malinconia corale, rabbiosa di “Conductor”. Si doveva intitolare “Collapse” questo terzo album, ed è poi diventato “Contact” per ribadire con forza l’importanza del dialogo, della condivisione. L’evoluzione del quartetto londinese ricorda sempre di più quella di Mica Levi periodo Micachu and the Shapes in dieci brani compatti e per nulla immediati, che incuriosiscono e soddisferanno soprattutto gli ascoltatori più esigenti.
Credit foto: Coen Rees