Alessio Ciccolo, cantautore calabrese di stanza a Bologna, pubblica il suo EP d’esordio, “Solo un dovere“, un viaggio formativo nel vero senso della parola, un giro di boa verso la maturità : il passaggio dall’università al mondo del lavoro, dalla giovinezza all’età adulta, in cinque brani che sono la fotografia di un cambiamento, ma anche della consapevolezza raggiunta.
Cinque canzoni nostalgiche, che raccontano non il “qui e ora” ma ciò che è stato, quando il miraggio di una vita nuova cominciava a palesarsi e le responsabilità non erano il nemico, in un riuscito connubio tra gli elementi tipici del cantautorato italiano e il sound d’oltremanica, con evidenti riferimenti a Niccolò Fabi, Colapesce e alla scena britannica degli anni ’90.
Dopo aver inserito Alessio nel nostro bollettino di qualche settimana fa, non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di fare due chiacchiere con l’artista calabrese:
Ciao Alessio, benvenuto. Partiamo dal momento esatto in cui hai capito di voler fare musica”…
Non saprei individuare un momento esatto. Però so con certezza che verso i 20anni tutti gli altri interessi che avevo praticato fino a quel momento perdevano di importanza, a discapito di una costante e stimolante voglia di scrivere canzoni.
“Solo un dovere” è il titolo del tuo EP d’esordio, una fotografia del passaggio dall’età adolescenziale all’età adulta. Quali sono i luoghi che hanno contraddistinto per te questo momento spazio-temporale?
Banalmente molti dei testi di questo lavoro sono stati scritti in treno, specie sulla tratta Bologna–Reggio e viceversa. E inevitabilmente le due città , con tutte le contraddizioni e le meraviglie che le contraddistinguono, hanno influenzato la mia percezione.
In “Lavanda e avorio” canti “Tra migliaia di respiri, hai scelto l’affanno”, ti sei mai sentito in affanno nei confronti della vita?
Sfido chiunque a non aver mai percepito in vita propria una simile sensazione. è una parola che ricorre spesso nelle canzoni, e a mio avviso il nostro respiro è la cartina di tornasole della nostra psiche.
Quanto è difficile oggi cercare la propria dimensione all’interno del vasto panorama musicale dell’indie pop italiano?
Difficile è se provi ad allontanarti da certe etichette, specie quella di “indie”. Si fa ancora fatica a capire che non tutto ciò che è emergente rientra necessariamente in questa categoria di ascolti, e inevitabilmente questo “sistema” rischia di tagliar fuori i progetti che provano a distinguersi.
Quali sono altri artisti italiani a cui ti ispiri?
Ascolto moltissima musica d’autore italiana, specie i dischi che ne hanno segnato la storia: in questo momento mi sento molto vicino alle nuove “leve”, da Colapesce a Dimartino oppure i “tre tenori” della scuola romana.
C’è un momento della giornata o un luogo in particolare che prediligi per scrivere?
In alcuni casi appena sveglio, dipende dai sogni o dall’umore mattutino; spesso mi è capitato di abbozzare qualche frase a tarda notte, per poi correggerla il giorno successivo.
Fare musica nell’epoca dei social network. Quanto credi sia importante per un artista lavorare sulla propria immagine? Perchè?
Per lo stesso motivo per cui scegliamo di indossare abitualmente una tuta o una giacca elegante. Contrastare questa società dell’estetica risulta ormai difficile, perchè sei caldamente invitato a occuparti più del book fotografico rispetto alla produzione in sè. Chi riesce ad essere personale e autentico nel “look” senza dimenticare l’aspetto musicale, fa il colpaccio.