Continuano le avventure, trenta anni, dopo di Daniel e Johnny e rispettive proli, finalmente in rotta di avvicinamento e non più di collisione per affrontare e (sconfiggere?) il, finalmente identificato in quanto tale, comune nemico Kreese, nuovamente in pieno e malefico controllo del serpentesco Dojo. Ma questa sarà la storia della quarta (e ultima?) stagione del serial di Netflix, nella quale finalmente ricomparirà il torneo All Valley, motivo ulteriore per aspettarla con ansia e trepidazione.
Pur risentendo dei tipici impasse da capitolo di raccordo, natura chiara sin dai primissimi minuti, il mix di azione, mazzate e nostalgia per gli anni passati e per i loro film funziona alla grande, forse ancor più che nella frizzante seconda stagione.
Potendo contare su tematiche quali le seconde opportunità , il recupero dopo un incidente o un trauma, la demonizzazione e successiva rivalutazione di una disciplina o l’incapacità di una generazione (quella di Johnny, ma il messaggio arriva forte e chiaro a tutti noi) di vivere il presente anzichè rifugiarsi nel confortevole passato, la serie offre anche qualche spunto di riflessione interessante, soprattutto per i più giovani.
Al solito, a godere di più saranno i fan della saga di “Karate Kid”, per i quali le sorprese, tra vaggi a Okinawa, flashback in Vietnam e ritorni a Los Angeles, sono sapientemente e funzionalmente distribuiti di episodio in episodio.
Si potrebbe fare qualcosa in più in termini di scrittura dei personaggi, che a volte sembrano davvero troppo stilizzati (problema di molti dei discepoli del Cobra Kai), ma del resto si tratta di un sequel di “Karate Kid” in episodi di una ventina di minuti ciascuno, e con queste regole forse è davvero chiedere troppo.