Uscito lo scorso 27 novembre, l’album omonimo da solista del chitarrista dei Pearl Jam, Stone Gossard, col nuovo gruppo Painted Shield, ha visto il reboot della storica etichetta Loosegroove Records (che ha pubblicato, tra l’altro, il primo disco dei Queens of the Stone Age nel 1998) – di proprietà dello stesso Gossard e del batterista Regan Hagar (Brad, insieme Stone, e Malfunkshun) – dopo ben venti anni di inattività .
Con la produzione di John Congleton (Marylin Manson, Angel Olsen, David Byrne, Anna Calvi tra i tanti) la band, composta oltre che da Gossard anche dall’ex batterista dei Pearl Jam, Matt Chamberlain, dal cantante folk-pop Mason Jennings e dalla tastierista e cantautrice di Seattle Brittany Davis, si è avvalsa anche della collaborazione di gente di assoluto spessore come i compagni della band base Mike McCready e Jeff Ament, da Lonnie Marshall, da Josh Freese, da Om Johari e da Jeff Fielder.
Anticipato dai singoli “I Am Your Country” di stampo diciamo techno-rock e da “Time Machine” contornata dai cori di un rock rude con pillole di funk (bellissima!), il risultato che ne viene fuori da questo debutto di Gossard e co. sono nove tracce che non seguono un ben preciso filo conduttore ma che si manifestano in tutta la loro assoluta imprevedibilità e audacia (sentite il sax esasperato nel finale proprio di “Time Machine”) ma anche con arrangiamenti raffinati e precisi.
In realtà , c’è molto di più nel disco, nel quale si percepisce plasticamente l’entusiasmo della band nell’eseguire tutti i variopinti episodi che – ad eccezion fatta per la cupa e ammaliante opener “Orphan Ghost” e dal rock-psichedelico della traccia di chiusura “Raven” – si dissolvono in un mood brioso fatto da una miscellanea di generi, sorretti da una matrice elettronica, che vanno dal blues-rock seducente di “Knife Fight”, con una ficcante linea di basso, al pop-rock onirico di “Ten Years From Now” oppure a quello classico di una strepitosa “On the Level”, con il basso di Ament che apre all’assolo di chitarra di McCready o, ancora, dal travolgente ritmo di “Evil Winds” dove fa bella mostra di sè il pedale della chitarra in modalità wah, al fervore della ballata pop della title-track di quasi sei minuti.
Nonostante tutto ciò che ruota intorno ai Pearl Jam per me è cosa gradita, sono arrivato all’ascolto di quest’album senza alcuna aspettativa, in modo molto easy e devo dire, invece, che sono rimasto davvero sorpreso per il ricco sound proposto che segna un altro strepitoso debutto.