Accordoni e arpeggi jangle, turbamenti adolescenziali, melodie dolciastre che si tuffano in ritornelli fragorosi.
La solita vecchia storia insomma, ma raccontata con freschezza e intelligenza; merito di una front-woman brillante come Lili Trifilio, ninfetta weird che tra qualche anno non ci stupiremmo di dover definire accattivante cantautrice con un passato da rocker ““ il primo singolo a nome Tiger Lili è un indizio niente male.
In attesa che una nuova Laura Veirs si riveli a noi, ci accontentiamo godendo di questo breve follow-up dell’ottimo lp d’esordio.
Quattro brani sufficienti a mettere in mostra l’intero range espressivo della band e della sua leader.
La loro voglia di giocare con la materia (“Love Sick”), di strizzare l’occhio alle indie-charts (“Good Girls”), di fare il verso ai Pixies (“Nice Guys”), di combinare le intuizioni ritmiche e melodiche per sostenere al meglio la vivida espressività dei testi (“Blame Game”).
Saldamente proiettati in un immaginario bubblegum fatto di aule di ginnastica, armadietti, giacchine college e videogiochi vintage, i Beach Bunny hanno la capacità di far suonare vitali e necessarie soluzioni pop vecchie di trenta anni.
Se si decide di accettare la sceneggiatura, non si può fare a meno di abbandonarsi a quella dolce euforia giovanilistica che ci riporta dritti ai bei tempi andati.
A quel dolore che ancora dubitiamo ci sia stato utile.
Ma che, in fondo, daremmo due dita per poter rivivere.