Ventiduesimo album per Ani DiFranco, musicista, attivista, voce critica che da ormai trent’anni naviga il mondo della musica americana alle proprie condizioni, senza badare troppo a classifiche e cattive vibrazioni, seguendo una curiosità che l’ha portata a esplorare i confini di folk, rock e jazz. Ripercorriamo parte della sua lunga carriera in dieci brani.
Bonus Track ““ Independence Day
1998, da “Little Plastic Castle”
L’Italia ha conosciuto Ani DiFranco anche grazie al piccolo castello di plastica di fine anni novanta e a questo brano in particolare, tratto da un disco che metteva in bella mostra il fingerpicking di “Gravel” e le ha regalato una nuova notorietà
10. Sunday Morning
2005, da “Knuckle Down”
Ritenuto uno dei suoi album più accessibili, registrato con l’appoggio dell’esperto produttore Joe Henry che le ha cucito addosso un suono più melodico ma sempre grintoso, con attimi di dolcezza come “Sunday Morning”
9. Nicotine
2006, da “Reprive”
Qui il suono diventa sperimentale, a volte minimale e spesso riflessivo. A legare i vari elementi ci pensa la voce di Ani DiFranco, sempre lucida e significativa sia quando parla dei mali del mondo sia quando tratta temi più personali
8. Slide
2003, da “Evolve”
Jazz, funk, fiati e ritmi frizzanti per uno dei brani più trascinanti usciti da penna e chitarra della DiFranco, con un arrangiamento a più voci e un ritornello a cui è veramente difficile resistere
7. Lost Woman Song
1990, da “Ani DiFranco”
L’esordio omonimo che univa canzoni di protesta ad altre decisamente più intime. In “Lost Woman Song” ci sono solo Ani e la sua chitarra, un brano immediato e sofferto che va dritto al punto e racconta un pezzo di storia privata che diventa universale.
6. Pacifist’s Lament
2016, da “Binary”
La fine dell’era Obama, l’inizio dei quattro anni di Trump. Ani DiFranco reagiva con un album più riflessivo di quello che molti fan si sarebbero aspettati, ricco di sfumature e tenace nel suo voler prendere posizione senza essere pedante
5. 4th Of July
1993, da “Puddle Dive”
Voliamo in pieno territorio folk con la Ani DiFranco del 1993, il quattro luglio e Jason che vive in un trailer park dell’Iowa. Vivacissima, esplosiva, un tuffo nel passato per ricordare la sua incredibile capacità di cantare e raccontare storie.
4. Providence
1999, da “To The Teeth”
Ani DiFranco + Prince ovvero sette minuti di dadaismo musicale applicato, incontrollabili e sperimentali, che arricchivano un album dinamico e lucidissimo, tra le fervide posizioni anti militariste della title track e la sferzante “Hello Birmingham”
3. Grey
2001, da “Revelling/Reckoning”
Il doppio album del 2001 che raccoglieva ben ventinove brani, centodiciotto minuti di Ani tra jazz e folk, la voce mai così versatile sempre in primo piano e incredibilmente espressiva tra grinta e commozione.
2. Not A Pretty Girl
1995, da “Not a Pretty Girl”
Sesto album, una dichiarazione d’indipendenza personale questa “Not A Pretty Girl” che ancora trova spazio nelle affollatissime setlist dei concerti dopo molti anni. Inutile dire che non è invecchiata di un giorno.
1. Untouchable Face
1996, da “Dilate”
Il “fuck you” prima sussurrato, poi ribadito a voce piena e la melodia di “Untouchable Face” sono imprescindibili. Avrebbe potuto restare prigioniera degli anni novanta Ani DiFranco invece è riuscita ad andare oltre, dimostrando coi fatti di essere una vera Righteous Babe
Credit foto: Daymon Gardner