Alcuni fra noi hanno atteso “OBE” (“Out of body experience“) del producer milanese MACE come si attende il prossimo disco che sai già ospiterà le canzoni che canterai per il resto dell’anno (e di più); alla mezzanotte del 5 febbraio 2021, sfocate fra il sonno accumulato da tutta la settimana e la trepidazione per le uscite del venerdì, le aspettative non erano basse.
MACE lo si conosce specialmente per la strettissima collaborazione con Venerus (“Sindrome”, la più recente “Ogni pensiero vola” e tutto l’EP “Love Anthem”), ma ha alle spalle un collettivo, RESET! con cui ha suonato in giro per il mondo, un sodalizio con Jack The Smoker e il merito di aver organizzato il primo grande concerto di Fabri Fibra, a Milano nei primi anni Duemila.
Mi sembra giusto parlare solo a nome di alcuni di noi, ma sono consapevole che in questo disco è racchiuso un po’ tutto l’immaginario di una (o più) generazione, con le dovute differenze nel reagire alle cose, recepirle ed elaborarle.
Mi ha colpito ciò che ho sentito qualche giorno fa provenire dalla bocca di mio cugino, classe 2007, (il fatto che ascoltiamo anche le stesse canzoni ha smesso di colpirmi ormai) e cioè: “questo disco non mi piace perchè si sente che artisti così diversi fra loro devono adattarsi“. Tralasciando la sorpresa dovuta a un’analisi critica che continua a spiazzarmi in quanto proveniente da un ragazzino di quasi 14 anni (ma, anche qui, torna il discorso dell’immaginario condiviso e delle differenze di età sempre più accorciate e impercettibili) e il mio disappunto, riflettevo, invece, su quanto sia proprio questa versatilità il punto fortissimo di “OBE”.
è come se MACE riuscisse a dare voce a tutti, proprio tutti, gli artisti presenti, che poi sono quelli più ascoltati in Italia; come se di comune accordo tutti si fossero fiondati lì, con una fiducia spinta dalla qualità che effettivamente MACE è poi riuscito a offrire, o come se il producer in primis volesse proprio affidarsi alle voci più influenti in circolazione.
I simboli provenienti dal mondo alchemico che accompagnano ogni brano sono evocativi, si ispirano alla tradizioni giapponesi, in cui dagli ideogrammi viene tirato fuori un intero mondo. Questo è ciò che è stato fatto con ogni artista: spingere fuori da ognuno di loro qualcosa di imprevedibile, anche tramite accostamenti insoliti e stupefacenti.
Non è la prima volta che qualcuno si assegna l’arduo compito di riunire personalità “importanti”: mi viene subito in mente “Mattoni” di Night Skinny, un disco probabilmente immortale e, in maniera ovviamente diversa, “Persona” di Marracash o “L3 B4S1” di tha Supreme, citando solo fenomeni (letteralmente) recenti e forse sono di parte tralasciandone altri ma va bene così.
Già dalla produzione di “HO PAURA DI USCIRE 2” di Salmo e Lazza nell’amatissimo disco collettivo “MACHETE MIXTAPE” 4 avremmo dovuto avere (più) chiaro che figura fosse MACE, che ha aggiornato il suo personalissimo archivio di collaborazioni-mine con “La canzone nostra” sempre con Salmo e BLANCO.
In “OBE” è racchiuso un abbraccio fra passato e futuro: avevamo già assistito alla collaborazione con quello che lui definisce un poeta contemporaneo, cioè Colapesce, in “Immaginario” e li rivediamo ora nella traccia forse più suggestiva (aggettivo che però riguarda tutto il disco) e cioè “Ayahuasca” con Chiello degli FSK, che sono invece i protagonisti dell’altro singolo “Ragazzi della nebbia” con Irama.
Non manca Gemitaiz, un po’ diffidente in mezzo a tutti questi talenti minuscoli, un po’ trasportato da tutti loro, è immancabile Venerus, ovviamente, con cui MACE produce anche la diciassettesima traccia instrumental, Hallucination.
Mi fa adorare più del solito Carl Brave accoppiandolo con l’energia spavalda di Rosa Chemical in “Sogni Lucidi” e rispolvera il potenziale di Rkomi in “Acqua” con Madame e “Non vivo più sulla terra” con Venerus.
E ancora Venerus “Senza fiato” con Joan Thiele, che MACE accompagna anche nella produzione del brano in uscita il 12 febbraio “Cinema”. Ernia, Samurai Jay & Darrn in “Sirena”, Geolier, Izi.
MACE investe su ognuno di loro e viceversa, ma, come ci fa ben capire, il risultato finale può essere un regalo solo quando si entra a contatto con la musica universale e totale di questo disco.
Non penso sia problematico che questo album riunisca ascoltatori di età molto diverse, non penso che debba essere sminuito per questo, perchè è gia l’album frutto di unione e collaborazione e il suo obbiettivo è elevarci, nella maniera più soggettiva possibile.
La qualità può metter tutti d’accordo. “OBE” deve farlo e lo fa.