Una cosa è certa: Stephen Malkmus è un artista dal talento unico. Insieme ai Pavement, nel corso di una carriera che ha abbracciato tutti gli anni ’90, è riuscito a forgiare un sound talmente originale e caratteristico da risultare pressochè inimitabile: un mix eccentrico, carico di ironia e innovativo tra la sgangheratezza del lo-fi e il gusto di un certo tipo di rock classico, quello più legato alle belle melodie pop di una volta e alla grande tradizione chitarristica.
Album dopo album e riconoscimento dopo riconoscimento, la band californiana ha costruito una rispettabilità che non si è incrinata neanche dopo uno scioglimento francamente indecoroso, arrivato al culmine delle tensioni e dei litigi che caratterizzarono le sessioni di registrazione e il tour di supporto per “Terror Twilight”, il canto del cigno prodotto da Nigel Godrich.
Una fine tanto triste quanto essenziale: al cantante e chitarrista di Stockton bastò infatti una gelida telefonata, nella lontana estate del 2000, per annunciarla ufficialmente a Scott Kannberg (A.K.A. Spiral Stairs) cui, tra l’altro, spettò l’infausto compito di dare la cattiva notizia anche agli altri compagni, clamorosamente snobbati dallo sprezzante frontman. E così, senza un’ombra di rimorso, Stephen Malkmus chiuse una pagina importante della sua vita per dare il via alla tanto agognata carriera solista.
Un’avventura iniziata con un album che, per stessa ammissione dell’autore, suona come i Pavement ma con una sezione ritmica differente: quella dei The Jicks, il cui nome non venne incluso nel titolo per le pressioni di una Matador che non voleva distrarre l’attenzione dal protagonista. Il nostro fresco ventenne ha più di qualche punto in comune con quello che potremmo definire il suo ideale predecessore, ovvero il già citato “Terror Twilight”.
Un lavoro maturo e compatto che, seppur privo di quelle atmosfere caotiche che resero indimenticabili “Slanted And Enchanted” e “Crooked Rain, Crooked Rain”, può far affidamento sull’estro compositivo di un Malkmus padrone del proprio mestiere. La possibilità di avere tutto sotto controllo, senza quindi interferenze dal punto di vista creativo, rappresentò l’occasione giusta per mettersi alla prova con canzoni meno spontanee e più strutturate.
Ne sono un ottimo esempio il rock corposo di “Black Book” e quello vagamente stonesiano di “The Hook”, dove comunque non mancano leggere dissonanze e assoli deraglianti tipicamente malkmusiani. Un disco a modo suo ordinato e persino convenzionale, nel quale però affiorano frequentemente i segni del passato di un genio bizzarro e incasinato: i sample nonsense di “Phantasies”, i coretti stonati di “Jo Jo’s Jacket” e l’aria da jam che soffia sul folk elettrico di “Pink India” e sulle deliziose note power pop di “Jenny And The Ess-Dog” sono il retaggio di una storia ““ quella dei Pavement, naturalmente ““ destinata a non chiudersi mai, in fin dei conti. Almeno fino a quando Stephen Malkmus sarà in attività .
Data di pubblicazione: 13 febbraio 2001
Tracce: 12
Lunghezza: 41:37
Etichetta: Matador
Produttore: Clarence Skiboots
Tracklist:
1. Black Book
2. Phantasies
3. Jo Jo’s Jacket
4. Church On White
5. The Hook
6. Discretion Grove
7. Troubbble
8. Pink India
9. Trojan Curfew
10. Vague Space
11. Jenny And The Ess-Dog
12. Deado