Puma Blue è l’alias del cantautore, produttore e polistrumentista Jacob Allen, classe 1995.
“In Praise of Shadows” è il suo debut album, anche se quello di Puma Blue non è un nome sconosciuto.

Ha debuttato nel 2017 con l’EP autoprodotto “Swum Baby”, le cui tracce di punta “Want Me” e “Soft Porn” hanno riscosso un certo successo in rete.
L’anno successivo Puma Blue ha pubblicato il B-Side “Moon Undah Water”, un brano incredibilmente sensuale dalle sonorità  jazzate e lo-fi che ha riscosso un meritatissimo successo a livello di ascolti.
Ciò ha portato alla pubblicazione del secondo EP dal titolo “Blood Loss” nel 2018.

La produzione di Jacob Allen si caratterizza per il falsetto, spesso paragonato a quello dell’inarrivabile Jeff Buckley, con una sostanziale differenza per quanto riguarda l’effettistica utilizzata.
La voce di Puma Blue, che sia resa in falsetto che nella tonalità  normale, risulta perennemente avvolta da uno strato consistente di riverbero quasi a voler sottolineare la natura notturna e tenebrosa del tessuto musicale.
Se nei primi EP i temi trattati erano conditi perlopiù da apatia e oscurità , sembra che in “In Praise of Shadows” l’artista inglese sia in qualche modo riuscito a dirimere la massa di emozioni tumultuose che lo hanno tenuto sveglio per tutta la notte nel corso degli anni passati (come ha lui stesso dichiarato nel corso di varie interviste). Sembra infatti che, almeno a livello dei testi, il venticinquenne sia pronto ad aprire le porte dell’accettazione e della gratitudine per la vita.

Musicalmente parlando, il disco di debutto di Puma Blue sceglie di mescolare i suoni letargico-notturni di King Krule con una certa scuola lo-fi hip-hop, (il massivo ricorso all’effetto ormai diffusissimo del crepitio del vinile quando tocca la puntina del girdischi ne è dimostrazione).
Ciò si traduce in un songwriting meno efficace e meno incisivo, più disposto verso la creazione di atmosfere distanziandosi dalle produzioni precedenti, caratterizzate da maggiore armonia, ricerca dei suoni e musicalità .
L’album in questione è sommariamente divisibile in due tipologie di produzioni: da una parte troviamo canzoni più atmosferiche e debitrici di ritmiche downtempo, dall’altra produzioni più complesse e stratificate che risultano coerenti con il percorso tracciato dai precedenti lavori.

“Sweet Dreams”, “Cherish (furs)”, “Snowflower” fanno parte della prima sezione, con il falsetto che si fonde in modo soporifero sui bassi decisi, le chitarre riverberate e le percussioni trascinate; mentre brani come “Sheets”, “Oil Slick”, “Is It Because, una delle poche perle del disco assieme a “Bath House” godono di una produzione più ricercata fatta di cori, arpeggi sognanti, melodie jazz che abbracciano basi di stampo prettamente hip-hop”.

Il problema con “In Praise of Shadows” è che rischia di diventare un ibrido tra un sonnifero e una playlist di musica di sottofondo, di quelle che metti in background mentre stai studiando o lavorando.
Tutta la prima parte del disco, da “Sweet Dreams” a “Olive/Letter to ATL”, risulta ripetitiva e carente di anima anche se, a partire dal brano dalle sonorità  jazzate “Oil Slick” e via via in un crescendo fino alla sussurrata “Super Soft” subisce un positivo switch  che gli fa guadagnare la sufficienza.
Puma Blue ha ancora qualcosa da affinare nel suo processo creativo che, per ora, splende davvero soltanto dove c’è del percorso battuto.

Peccato.
Al prossimo sogno/incubo.

Credit Foto: Netti Hurley