Le vette e le depressioni dei mari lunari, la vista di quel pianeta verde ed azzurro, che sembra quasi essere a portata di mano, le nubi maligne che lo avvolgono e che assumono i contorni di un oscuro e minaccioso presagio, le inquietudini spaventose di “Burial”, la solitudine cosmica di “Fade”, mentre quei tre aerei a reazione sembrano pronti a sganciare il loro contenuto di odio sull’inerme e impotente pianeta: è così che si apre “Ghost Tapes #10”. Le sonorità dei God Is An Astronaut si fanno robuste e maestose, sono urgenti e sinistre, spingendo le trame post-rock della band verso orizzonti decisamente più metallici e pesanti che strizzano l’occhio alle strutture complesse, alle ritmiche feroci ed alle dirompenti linee di basso di matrice doom metal.
Ma nonostante le atmosfere del disco siano così crude e viscerali, il nostro astonauta continua ad emozionarsi e commuoversi dinanzi il mistero, la bellezza e la vitalità dell’universo; “Barren Trees” è sia il suo sguardo perso tra i pianeti e le stelle, che tra i pensieri ed i sentimenti celati nella sua stessa mente, laddove le trame elettroniche si intrecciano con le paure più torbide e vorticose, quei buchi neri pronti a risucchiare la vita stessa e far sì che ogni nostro sogno si perda, per sempre, nel buio assoluto.
I God Is An Astonaut sono una creatura in espansione, che non teme l’ignoto e non esita ad inglobare nel proprio background di riferimento elementi più rabbiosi ed angosciosi; essi sono la testimonianza strumentale delle sofferenze fisiche e psicologiche causate dall’isolamento forzato, dalle morti solitarie, dalla perdita della nostra rassicurante quotidianità . Tutto ciò ha reso l’album più drammatico e cattivo, permettendo, sin dall’iniziale “Adrift”, al dolore ed alle macerie di entrare nell’orbita del loro sound, che, nel frattempo, si apriva ad impeti spigolosi di matrice krautrock, al nervosismo ed alla tensione dell’acciaio, ad un prog-elettronico notturno e fatale. Il tutto, però, senza perdere mai di vista la propria umanità , le proprie peculiari caratteristiche sonore e soprattutto la speranza, quella speranza che nella terminale “Luminous Waves” ha il compito di spronarci a non darci per vinti, a ricordare chi siamo davvero, a liberarci dalla depressione e seguire la voce catartica delle chitarre.
Credit Foto: N1el5k1n, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons