Quando il 5 febbraio scorso è uscito “Medicine at Midnight”, tanto atteso decimo lavoro in studio dei Foo Fighters, in pochi probabilmente si sarebbero aspettati un album così.
Giunto 4 anni dopo “Concrete and Gold” e pensato per coronare 25 anni di carriera, insieme all’enorme “The Van Tour 2020”, rimandato anch’esso a causa della pandemia, questa nuova creatura di Grohl e soci è un sapiente equilibrio tra un ritorno a sonorità alternative rock anni ’90 e un sound pop d’alta classifica, risultato evidente di anni d’esperienza e conoscenza perfetta delle dinamiche commerciali. Un disco vivo e diretto, che fa dell’energia e della capacità di trasporto una delle sue cifre portanti, evidentemente nato e pensato prima dell’attuale pandemia, perchè privo di quel peso emotivo e disunione che tanto affligge molti lavori usciti in questo periodo.
L’ennesimo passo oltre ciò che si era fatto fino ad ora, voluto e pensato, come spesso accaduto nella carriera di questa band, che poteva esser già abbondantemente immaginato dal primo singolo rilasciato per il lancio: “Shame Shame”. Il brano, fortemente radiofonico, è aperto e scandito dal ritmo funky incalzante della batteria e seppur si discosti dal resto dell’album per via delle tonalità un poco più cupe, rientra in quel disegno di ricerca e tradizione di cui si è detto e di cui tutto l’album è pregno. Non stupisce quindi di sentire anche in episodi più vicini a sonorità più dure e rock sterzate su mondi completamente diversi, come sui cori del secondo singolo estratto “No son of mine”. Una vera e propria contaminazione che tanto ricorda i sound di fine “’60, quando la musica gospel era ancora un’importante fonte d’ispirazione e confronto anche per la musica rock.
Ma altri episodi che sembrano mezzi tuffi in altre epoche non mancano: dalle sonorità seventies di “Chasing birds”, al marcato riferimento agli anni ottanta della funkeggiante title track “Medicine at Midnight”, anch’essa impreziosita da cori femminili, presenti qua e là in più canzoni.
In generale, ” Medicine at Midnight” è un album diretto, che arriva chiaro all’acoltatore fin da subito senza perdersi, pensato per essere suonato dal vivo, cantato a squarciagola durante il tour: “il nostro Let’s dance” come lo ha definito Dave Ghrol, con riferimento chiaro al capolavoro di Bowie.
Photo Credit: Danny Clinch