Cosa sappiamo esserci dietro a questo nome Parannoul? Poco, pochissimo, e le informazioni sembrano volutamente latitare.
La base operativa è a Seul, capitale della Corea del Sud, nella sua pagina bandcamp si legge che è “solo uno studente che scrive musica nella sua cameretta“, in coda alla presentazione di questo album (il secondo, dopo “Let’s Walk on The Path of a Blue Cat” dello scorso anno) ci tiene ad evidenziare la speranza “che ci siano più perdenti attivi come me nel mondo“.
L’album, in sè, è invece una piccola chicca da scoprire.
Gli influssi non mancano di certo, dove echi di “Loveless” si sentono subito in attacco con “Beautiful World”, per poi abbracciare galassie dream pop, J(o K, se si vuole)-rock, emo, post-rock, noise, math rock, il tutto seguendo l’impulso – sembrerebbe- più che un piano prestabilito. Il suono è grezzo, nervoso, lo-fi: sui testi, in coreano, non possiamo sbilanciarci, anche se i contenuti dichiarati sono legati a “delusione, senso di inferiorità , passato, mancato adattamento, fuga, fantasia, disillusione, struggimento, esistenza delle più ordinarie, letargia, e suicidio“.
Nel buglione finiscono tanti ingredienti, non per questo (e per quanto abbastanza lungo) il risultato non si fa apprezzare: le chitarre trainano come cavalli, disegnano orbite come scie propulsive, srotolano tendoni di fuzz, le melodie si incastrano e si sovrappongono con gusto, gli orpelli (vedi i tocchi di tastiera o i bagliori sintetici) sono agganciati con riuscita, il paragone con il primo Car Seat Headrest non è certo da considerarsi inopportuno. E se i sentimenti cardine descritti sono quelli di cui sopra, di certo non mancano lampi di luce e di energia vitale: la cavalcata di “White Ceiling” è in tal senso un manifesto.
Pezzi come la titletrack poi sono capaci di calmare le acque col proprio rintoccare di chitarra acustica e lenitivi sussurri sullo sfondo per riprendere quota e saturazione pochi attimi dopo, altri come “Youth Rebellion” incalzano gagliardi e prestanti. Chiudono i giochi le atmosfere malinconiche, che però non perdono in tempra, di “Chicken” e “I Can Feel My Heart Touching You”. Ma è in genere è tutto l’album a colpire, per resa, ambientazioni soniche ed arrangiamenti.
L’ascolto è consigliato: per – forse- maggiori dettagli, bisognerà aspettare.