I My Bloody Valentine, con il loro eccentrico e spiazzante romanticismo, sono approdati recentemente nelle varie piattaforme di streaming audio, di conseguenza ci sembra doveroso celebrare quella che è una delle band più influenti degli anni Novanta, a metà  strada tra le spigolose divagazioni rumoristiche dei Sonic Youth e la morbidezza crepuscolare di Elizabeth Fraser.

Kevin Shields e compagni hanno messo le loro sonorità  distorte a disposizione di un’idea non convenzionale d’amore; un amore che è ben oltre la naturale attrazione tra i sessi opposti e che supera le necessità  fisiche di un rapporto tradizionale nel quale le parti si consumano a vicenda. La band irlandese tesse le sue visioni oniriche; si mantiene, volutamente, in una dimensione vaga e spettrale, nella quale un pop surreale ed androgino esplode in bagliori shoegaze capaci di attraversare qualsiasi distanza, riempiendola di tutti quei baci mai dati, di tutte quelle carezze mai ricevute, di tutte quelle sensazioni perennemente in bilico tra la cruda realtà  ed un sogno lascivo.

Le deflagrazioni sonore sono, frequentemente, accompagnate da testi criptici, da parole centellinate che si perdono in un oceano di chitarre distorte; un oceano che ci spinge ed esorta a compiere in un viaggio nel quale, più che la meta vera e propria, ciò che ha davvero importanza e valore è il viaggio in sè. Quest’attesa trepidante, questo vuoto minaccioso, questo desiderio atroce nei confronti di qualcuno che non è presente o di qualcosa che non possediamo, questa tormentata solitudine, rappresentano le fonti primarie di energia con le quali alimentare dischi ed esibizioni dal vivo.

La tensione accumulata non teme il tempo che passa, non teme nè i consueti processi di invecchiamento, nè le mode passeggere, i suoi detrattori potrebbero sostenere che essa è malsana, che si tratta solo di una folle infatuazione o che non è altro che un modo per nascondere il proprio narcisismo, ma, anche se fosse tutto vero, cosa importa? Ciò che ha davvero importanza è il fatto che essa, nutrendosi anche di quelle che possiamo definire delle lussuriose fantasie o degli ossessivi fantasmi mentali, ha permesso a canzoni come “I Cant’ See It (But I Can Feel It)”, “Feed Me With Your Kiss” o “Only Shallow” di germogliare e aiutare le nostre dolenti ferite a rimarginarsi, cicatrizzarsi e guarire.