Le trame progressive di “Sky Over Giza” si sono incrinate, sono diventate più torbide, si sono contaminate di metallo oscuro, di detriti cosmici, dei resti di antiche stelle, rendendo “Trivial Visions” un lavoro più cupo ed inquieto, consapevole del buio che abbiamo attorno, ma anche desideroso di spingersi verso un orizzonte che ci rassereni e soprattutto ci trasmetta, nuovamente, fiducia verso il futuro.
Questo triplice intreccio di psichedelia cosmica ed elementi e sonorità dark e metal, rende le ambientazioni più claustrofobiche: “Absolute Abyss” scava nella cruda realtà quotidiana; “Lost Horizon” innalza il livello di minacciosa tensione, nonchè di trepidante e fremente attesa; “Trivial Visions” acuisce la distanza esistente tra il corpo e la mente, lasciando che il nostro spirito fluttui nelle terrificanti pieghe dello spazio, rappresentazione sonora della solitudine e dell’alienazione che, da circa un anno, hanno stravolto le nostre esistenze.
Intanto le ritmiche si fanno sempre più pressanti e martellanti, le voci assumono un tono sinistro, prima che “Cursed Invader” ci rammenti che il viaggio, in fondo, non è ancora terminato; possiamo e dobbiamo procedere oltre, attraversare gli echi ultraterreni di “Ashes”, lasciarci guidare dai suoi improvvisi e suadenti bagliori elettronici, aggrapparci ai corposi feedback di “Spectrometer” e superare ogni abisso, ogni dannato buco nero, ogni nevrosi, qualsiasi stato di alterazione, agitazione o sconforto, in modo da ritrovare noi stessi, in modo da connetterci al theremin interiore, la cui voce era diventata sempre più flebile e malata, per poi riprendere, in “Altered States”, il centro della scena. Certo, questo è un cammino più sofferto e più pesante, ma è la continuazione naturale di un percorso sperimentale e introspettivo iniziato con l’album precedente, del quale conserva, sotto un’altra forma, più matura e più consapevole della fugacità umana, il fascino ipnotico, l’approccio bizzarro e fantascientifico e un coraggioso sguardo rivolto al domani.