Si fa sempre più avvincente e coinvolgente l’alchimia musicale che unisce Cecilia Miradoli e Max Tarenzi. Il loro progetto Pinhdar arriva al nuovo album “Parallel” e la qualità del lavoro conferma come tutte le aspettative fossero giustificate. Dal lockdown è nato un disco che si fa portavoce di ansie, preoccupazini ma anche speranze, ombre e luci che si rincorrono, in un gioco tanto sinuoso e morbido quanto claustrofobico e nervoso. C’è il rischio di smarrire la via, ma la voce di Cecilia è li, guida e incanto, sirena che non ci porta alla rovina ma alla salvezza. Un disco che non va solo ascoltato, ma va realmente vissuto, perchè le emozioni hanno bisogno di essere colte e fatte nostre, per farle sviluppare al meglio. Ecco la nostra chiacchierata con la band milanese.
Ciao ragazzi, è un piacere ritrovarvi. Come state? Da dove ci scrivete?
Ciao, il piacere è reciproco! Stiamo bene, ancora emozionati per l’uscita dell’album dopo averci lavorato tanto. Siamo sempre qui nel nostro piccolo home studio di Milano, anche perchè grosse possibilità di movimento per ora non ce ne sono.
Nuovo album. Un disco fortemente influenzato da quanto è successo nel 2020. La parola solitudine ricorre spesso quando si parla della vostra musica e dei vostri testi. A tal punto che ricordo che anche per il primo album parlavate di come la solitudine fosse un elemento cardine. Ora, due anni dopo, questa solitudine di cui parlate la vedete sotto una luce diversa? Forse più cupa e claustrofobica?
La solitudine in questo disco è sicuramente sentita in modo più “cosmico”, c’era una sottile sensazione di angoscia in quei giorni del primo lockdown, durante i quali abbiamo registrato chiusi in studio, qualcosa di fisico, quasi un lamento del pianeta, che rimbombava nel silenzio della città . Il senso di claustrofobia lo abbiamo superato solo
attraverso la musica che inevitabilmente è nata scura.
La voce di Cecilia è sempre stata una caratteristica fondamentale, ma posso dire che in questo nuovo album diventa quasi strumento musicale, portatrice non solo di parole, ma anche di emozioni. E’ come se spesso la voce di Cecilia “rubasse la scena” al resto, sbaglio? Tra l’altro mi pare che nei suoni stessi avete deciso di lavorare per sottrazione, togliendo più che aggiungendo.
Abbiamo deciso di asciugare le stratificazioni di cui è fatta la nostra musica per dare più valore alla voce, sperimentando attraverso contrasti fatti di spoken e di soffiati alternati a frasi vocali quasi operistiche e a volte pazze alla Kate Bush, per meglio rispondere alla necessità di rappresentare la forte tensione emotiva che stavamo vivendo. Non è stato semplice all’inizio, ci siamo spesso ritrovati a buttare via tutto e ricominciare da capo finchè non abbiamo percepito di essere sulla strada giusta.
In tutto il disco regna una costante inquietudine, facile percepirla nella ritmica incalzante di “Anacreonte”, ma in realtà anche in momenti più delicati e dilatati è come se ci fosse qualcosa in agguato, pronto a colpire o a darci una scossa. E’ il segnale che, nonostante le nostre speranze, non è ancora arrivato il momento di rilassarci e lasciarci andare (la cover stessa del disco non mi da un segnale di tranquillità , anzi, è un immagine capace di infondermi allarmismo)?
Abbiamo immaginato di scendere traccia dopo traccia nelle nostre paure e fragilità per poi risalire verso una strada più luminosa e quindi verso le speranze. Non pensiamo che ci sia molto da rilassarsi, non tanto per la situazione attuale che sicuramente si risolverà , quanto per le cause che hanno portato alla situazione stessa e ad altre che potrebbero insorgere visto come stiamo trattando il pianeta e i suoi esseri viventi. Insomma qualcosa dovrà cambiare quando finalmente usciremo dalla pandemia, speriamo di aver imparato. La cover è simbolicamente una casa (elemento rassicurante) che poggia sull’acqua che invece è un elemento instabile .
Mi sembra proprio che abbiate alzato anche il livello “ipnotico” e circolare del vostro sound, alcuni brani diventano dei veri e propri mantra capaci di rapirci e catturarci la mente. Quasi tendeste a un livello più spirituale. Che ne dite?
Innanzitutto, grazie per aver ascoltato con questa sensibilità . Partendo da sensazioni molto intense abbiamo provato a trasmettere un effetto ipnotico come parte del suono che stiamo ricercando, quasi si trattasse di un viaggio anche spirituale, sì, verso le paure e gli errori per trovare una via d’uscita comunque bella e piena di positività . L’ultimo brano in scaletta infatti sembra non finire mai per partire, invece, per un nuovo lungo viaggio.
Adoro quella chitarra sporca in “Atoms And Dust”, sembra quasi un lamento, proprio in mezzo allo splendido lavoro vocale di Cecilia. Bellissima l’idea di un assolo realizzato in questo modo…
Grazie! Si tratta proprio di un lamento ma anche di un grido di liberazione, dall’incedere ciclico e strascicato delle strofe che rimarcano il contenuto del testo. è un momento molto intenso anche per noi, infatti in questo brano c’è la frase che racchiude tutto il mood dell’album: “We walk towards the future in this uncertain time without a present”
“The Hour Of Now” chiude in modo magnifico il disco con i suoi 7 minuti. Un brano che dopo una prima parte morbida inizia a lavorare sul ritmo. E’ nato così il brano nella vostra testa o si è sviluppato in questo modo in studio?
Il brano è nato in due fasi. La prima rappresenta un approccio più recente al nostro modo di scrivere, ovvero in due parole la ricerca di linee vocali e costruzione dei testi sulla base di suggestioni musicali appena accennate che poi vengono sviluppate durante la produzione. Per un po’ il pezzo è rimasto così, in questa dimensione “sospesa” che ben rappresentava certe nostre giornate in lockdown, ma c’era qualcosa che gli mancava e non capivamo cosa fosse finchè lo abbiamo fatto ripartire nella maniera in cui si sente sul disco, come un trip psichedelico (grazie anche all’uso del synth analogico per le linee di basso).
Ovviamente è impossibile non citare Howie B. Mi piacerebbe sapere quanto e cosa un produttore così affermato ha saputo infondere alla vostra musica ma anche se ha lasciato qualcosa a voi, come musicisti.
Lavorare con Howie è stata un’esperienza fantastica. Per prima cosa, oltre le nostre stesse aspettative, ci hanno colpito la facilità di comunicazione e la sua sensibilità artistica. Fattori che, dal punto di vista del progetto, hanno risolto ogni possibile difficoltà di lavorare a distanza, mentre da quello umano ci hanno legati profondamente tanto che siamo diventati amici. Le chat e le videocall divertentissime infatti non sono ancora terminate e ci sentiamo ancora regolarmente. Il suo apporto è stato particolarmente evidente sul suono e sul trattamento della voce ma si è inserito in modo subliminale anche nel tessuto degli arrangiamenti contribuendo a creare quella vibe che è poi la sua firma.
C’è un brano che vi ha particolarmente colpito nel disco e che, risentendolo, vi sollecita ricordi piacevoli?
Tutti i brani sono stati scritti e registrati in un momento tanto intenso da generarci reazioni simili, per alcuni come “Corri” più commosse, per altri come “Anacreonte” più “wow” perchè il pezzo ha, a nostro parere, una sua potenza un po’ cinematografica. è stato proprio l’ultimo brano però, “The Hour Of Now”, a sollecitare pensieri positivi: riascoltandolo torniamo a quei giorni con la voglia di una ripartenza, non a caso è l’ultimo dell’album e sembra non
chiudere mai.
Vi ringrazio ancora per la gentilezza e per la disponibilità . In chiusura, dopo aver parlato del vostro album mi piacerebbe sapere se ci sono dei dischi che, in questa prima parte del 2021, vi hanno colpito e ci consigliate.
Tra le uscite che più ci hanno colpito, consigliamo sicuramente: “A Common Turn” di Anna B Savage, “As The Love Continues” dei Mogwai e “Lost Themes III: Alive After Death” di John Carpenter. Ma la lista è in continuo aggiornamento!
Editing credit: Elisabetta Cardella
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