Non ci si potrà mai stancare della poliedricità di Damon Albarn: oramai siamo abituati a vederlo aprire un nuovo progetto musicale, tralasciando il percorso (forse finito, chissà ) del gruppo brit-rock Blur.
I Gorillaz non sono un gruppo facile da digerire, bisogna proprio avere una conoscenza musicale infinita per poter riconoscere tutte le contaminazioni che vengono inserite in ogni traccia. Ma è proprio questo che rende il gruppo di Albarn e co. un progetto unico nel suo genere. Come unico è nel suo genere il quarto LP pubblicato dalla band: “The Fall” nel 2011.
Torniamo indietro di undici anni però.
Siamo nel 2010, i Gorillaz sono in tour per gli Stati Uniti a promuovere il loro terzo album dal titolo “Plastic Beach” e non hanno uno studio di registrazione. Damon Albarn ha solo con sè un Ipad di cui è follemente innamorato. Gli viene un’idea alquanto bizzarra e alquanto avanti per quegli anni: produrre le basi di un nuovo disco proprio con il tablet marchiato Apple.
Il risultato è eccezionale (e alquanto diverso dai precedenti album).
Prima di tutto ci sono pochissime collaborazioni esterne: i featurings si fermano a Bobby Womack per la canzone “Bobby in Phoenix” e a Paul Simonon e Mick Jones (Ex The Clash, di cui il primo collaboratore di un altro progetto targato Albarn ovvero The Good, The Bad & The Queen). Ancora la sperimentazione è la chiave di Volta. Se il viaggio che si compie nell’ascoltare l’album ha fattezze quasi oniriche, gli elementi elettronici sono sempre presenti. Ma non solo, perchè a non mancare troviamo anche strumenti come l’ukulele, il sitar, il pianoforte, la chitarra e molti altri. Non è un caso che in “Aspen Forest” viene introdotto l’elemento dell’interferenza telefonica associato poi, alla fine della canzone, ad un sitar vero e proprio.
Ci sono anche brani che sembrano essere delle semplici demo, prodotte solo per vedere le funzionalità delle applicazioni dell’Ipad e che quindi, ancora di più, ci fanno capire quanto ai Gorillaz piaccia sperimentare (“Detroit”, “Amarillo” ma anche “Pink Plastic Bags”).
Tutto il disco ripercorre il viaggio della band tra le tappe americane del tour e tu, che lo ascolti ogni volta come se fosse la prima volta, ti sembra proprio di essere in un lungo e infinito viaggio. Quest’ultimo prende sembianze quasi amichevoli, ma anche estranianti ( mi viene in mente che poteva essere la colonna sonora perfetta per “Paura e delirio a Las Vegas”).
Damon Albarn ha voluto, con queste quindici tracce, proporre qualcosa di nuovo e totalmente diverso dai vecchi album. Direi che i Gorillaz ci sono riusciti in pieno, facendoci ancora di più capire quanto a questi ragazzi piaccia fare cose strane, differenti e totalmente originali dal resto del mondo musicale.
Data di pubblicazione: 18 aprile 2011
Tracce: 15
Lunghezza: 43 minuti e 26 secondi
Etichetta: Parlophone, Virgin
Produttori: Gorillaz, Stephen Sedgwick
Tracklist
1. Phoner to Arizona
2. Revolving Doors
3. HillBilly Man
4. Detroit
5. Shy-town
6. Little Pink Plastic Bags
7. The Joplin Spider
8. The Parish of Space Dust
9. The Snake in Dallas
10. Amarillo
11. The Speak It Mountains
12. Aspen Forest
13. Bobby in Phoenix
14. California & the Slipping of the Sun
15. Seattle Yodel