Di Immune, abbiamo già avuto modo di parlare, eccome.
Il cantautore piemontese è stato per diverso tempo protagonista dei nostri bollettini, e qualche settimana fa, all’uscita del suo disco d’esordio, avevamo deciso di parlarne anche qui su IFB con toni piuttosto entusiastici.
Ecco allora che, alla luce di tutto questo, sarebbe stato davvero indecoroso non scambiare due chiacchiere con l’artista, fosse solo per capire se le nostre intuizioni in merito ad “Origami”, il suo scoppiettante disco d’esordio per Revubs Dischi, fossero più o meno corrette.
Ciao Elia, finalmente il disco d’esordio che qui aspettavamo da almeno quattro bollettini. Raccontaci, a caldo, come stai?
Ciao a voi, grazie come sempre dell’ospitalità ! Lo aspettavo anche io il mio disco, figuratevi! Sto bene grazie, stranito direi. Aspetti da tempo il momento speciale dell’uscita di un disco e poi passa e tutto continua ad andare avanti e niente, ti viene già da pensare al prossimo.
Fotografa tre momenti importanti del tuo percorso, che ti hanno portato fin qui.
Dopo aver contato per anni su gli altri sicuramente uno dei momenti più importanti è stato quando ho capito che potevo mettermi in gioco da solo. Ho ancora il ricordo di quando ho inserito il cavo USB nel PC ed ho premuto il primo tasto del synth. Dopo due ore avevo la bozza di un brano (che per assurdo non è presente sul disco) e da quel momento non ho smesso di scrivere. Per controparte, invece, non sono i momenti ma le persone che ho incontrato durante il mio percorso a definirlo. Un momento chiave sicuramente è stato quando sono andato a presentare in acustico un brano allo staff di Revubs Dischi; quel brano era “Scura” e Revubs Dischi e diventata l’etichetta con cui collaboro.
Qual’è stato il momento più difficile, lungo la strada che ti ha portato al disco?
La scelta dei brani, credo. Che sono cambiati in fase di percorso, non tutti ovviamente, ma almeno quattro sono stati sostituiti da altri. Ero molto indeciso sul da farsi ma alla fine sono soddisfatto e non mi pento della scelta. Quei brani scartati, insieme ad altri, vedranno nuova vita in futuro.
“Origami” sa di auto-riflessione, di amori spezzati e vite che rinascono. E’ un disco che chiude una porta del passato o è il primo passo verso un futuro in cui ti senti già immerso?
Il passato è un racconto da narrare, il futuro è una fantasia da sperare, il presente è la realtà da vivere. “Origami” è un racconto per tutti che può aprire porte e far tornare bambini o rimarginare ferite ancora aperte. Nel mio caso è un monito a vivere il presente cercando di imparare sempre dagli sbagli migliori.
Ma come mai proprio “Origami”? La cultura orientale, tra l’altro, sembra averti influenzato e non poco.
Sì, in particolare la cultura giapponese, da dove provengono appunto gli origami. Sono stato quattro volte in Giappone, per me è come una seconda casa e sono un appassionato del paese del Sol Levante e della sua cultura da molti anni. Quelle esperienze che ho assorbito e che quotidianamente vivo nel mio piccolo a casa sicuramente le ho riversate nei miei brani a partire da “WA” in tutto e per tutto ispirato al Giappone e ai miei viaggi e a tutto quello che sento per quel paese così unico. Gli origami sono fragili nell’intenzione ma allo stesso potenti nella forma, semplici alla vista ma complicati da capire a fondo, un po’ come il Giappone, un po’ come me.
L’intro del disco permette di focalizzare fin da subito l’approccio elettronico del tuo atto creativo. Poi, ascoltando i brani, emerge però un’attenzione alla scrittura che ricorda la canzone d’autore. Qual’è il rapporto che, secondo te, si deve creare tra testo e musica? Sai che è un dilemma di lunga data, questo”…
Credo sia una domanda piuttosto soggettiva e ti rispondo che non lo so. Il mio approccio è molto istintivo. Si tende ad etichettare generi e stili, io cerco di andare oltre gli schemi e non mi pongo il problema. Scrivo.
“Origami” forse è la traccia più intensa – al di là dei singoli pubblicati – di tutto il disco, e non a caso dà il nome all’intero lavoro. Per tutto il disco, si avverte un rapporto particolare con il concetto di tempo e di ricordo. Qual’è secondo la strada utile per non rimanere imprigionati nel passato?
Mi ricollego alla domanda fatta in precedenza e mi autocito dicendo che la strada più utile secondo me è vivere il presente cercando di imparare sempre dagli sbagli migliori.
Qual’è, secondo te, la cosa più importante che questo disco cerca di raccontare e che ti premeva dire all’ascoltatore? Ammesso vi sia un messaggio preciso che ti va di esplicitare a qualche destinatario.
Origami e come un puzzle, non è arrivato in maniera frenetica ma molto dilatato nel tempo. I brani sono frutto di anni di scrittura, il più vecchio credo abbia sei anni fino ad arrivare all’ultimo che ho scritto che è di gennaio di quest’anno, quindi il disco non vuole avere un messaggio preciso se non quello di vivere a pieno il presente creandosi i momenti che si vuole in maniera più speciale possibile, sbagliando e riprovando e sbagliando di nuovo ed imparando tutte le volte che serve, senza rimorsi ma con la voglia di crescere e scoprirsi.