Lo diciamo tranquillamente. Tra i dischi in uscita in questo 2021, una delle attese più grandi e impazienti riguarda l’esordio dei favolosi White Flowers, che hanno dipanato un incantevole mondo notturno e dream-pop con dei singoli da pelle d’oca. Abbiamo avuto la fortuna di ascoltare il disco (pre-order), atteso il 4 giugno, in anticipo e da questo ascolto preventivo sono nate alcune domande a cui la band composta Joey Cobb e Katie Drew ha gentilmente risposto.
Ciao ragazzi! Grazie mille per essere in piedi per questa intervista! Come state? Mancano pochi giorni all’uscita del vostro nuovo album: potete descriverci le vostre sensazioni attuali?
Ehi Ricky, stiamo bene grazie. Siamo un po’ nervosi all’idea di far uscire l’album, dato che è stato un lavoro di qualche anno e qualcosa in cui abbiamo investito molto, ma siamo eccitati di poterlo finalmente far ascoltare.
I nuovi singoli sono stati accolti molto bene. Ma, per voi, le recensioni dei giornalisti sono così importanti?
è sicuramente bello avere recensioni positive, ma la cosa principale per noi è che le persone che ascoltano la nostra musica siano influenzate da essa, che trasmetta loro qualcosa e si connettano con essa.
Mi ricordo di aver letto di voi nel lontano 2018: nessuna fretta di realizzare il primo album…
Non abbiamo mai avuto fretta con la musica e l’arte che facciamo. Ci piace prendere il nostro tempo, lasciare che
lasciare che le idee si evolvano naturalmente da sole, vivere con quello che abbiamo fatto per un po’ prima di mostrarlo a qualcuno. Alcune band sono molto prolifiche e creano cose già fatte e finite molto velocemente, noi
rispettiamo questa metodologia, ma non è il nostro modo di lavorare.
Avete un’iconografia molto precisa basata sul bianco e nero. C’è un forte legame con le immagini, come se la vostra musica completasse le arti visive. Mi sbaglio? Perchè questa assenza di colore?
Non abbiamo intenzionalmente deciso di avere un artwork tutto monocromatico, sembrava semplicemente adatto alla musica. Penso che con le immagini in bianco e nero si lasci più spazio all’immaginazione. Noi vediamo il mondo reale a colori, quindi, quando guardiamo una fotografia o un film in bianco e nero, la nostra immaginazione riempie quello che non c’è. è familiare, eppure alieno.
Ho trovato spesso queste parole associate alla vostra musica: minimalismo, oscurità , ansia. A prima vista, il vostro sound non sembrerebbe adatto a un momento come questo, che ha un gran bisogno di speranza. Eppure, ascoltando l’album, la frustrazione e la rassegnazione non hanno la meglio. Al contrario, c’è un senso di spiritualità , un bisogno di protendersi verso qualcosa al di fuori: non è un ripiegamento su noi stessi, ma un’apertura. Voi cosa ne pensate?
Per noi, fare musica è sempre stato un processo molto catartico. è un modo di affrontare un mondo travolgente e caotico. Attualmente stiamo tutti vivendo un periodo molto inquietante e incerto, ma penso che questo infonda anche un più profondo senso di speranza e possibilità . Non partiamo mai con un’intenzione logica per la musica, tendiamo ad andare solo per intuizione, quindi è solo dopo averci vissuto un po’ che i significati iniziano a rivelarsi. Siamo d’accordo che dalla frustrazione e dall’ansia che possono uscire dalla musica, emerge invece una sorta di luce e un senso di eccitazione, anzi, senza queste cose sarebbe difficile andare avanti.
Che cosa ha portato Jez Williams alla vostra musica?
Abbiamo registrato a casa, creando le canzoni il più possibile da soli prima di andare nello studio di Jez. Lui ci ha aiutato a costruire altri spunti sopra quello che avevamo già fatto, ha tirato fuori gli elementi sonori più importanti e ha aggiunto spazio e profondità al suono. Crescendo abbiamo davvero ammirato i Doves, siamo stati molto ispirati dalla produzione ricca dei loro suoni e dal loro modo di creare musica, quindi è stato un privilegio lavorare con Jez.
Ma i paragoni con le leggende come My Bloody Valentine, Slowdive o Cocteau Twins spaventano o lusingano?
E’ molto bello essere paragonati a queste band, ma loro esistono in una lega tutta loro! Appartengono a un certo tempo e a un certo spazio preciso e quello che hanno fatto è stato più che innovativo. Il loro mondo ha punti in comune ed è per questo che così molte persone si collegano con tutte e tre le band che hai citato. Sarebbe bello poter dire che anche la musica che facciamo noi possa provenire proprio da quel luogo.
Trovo che la canzone simbolo di questo album sia la title track, che considero il vostro manifesto, un biglietto da visita più che affidabile per descrivere tutta la vostra musica. L’inizio mi sembra adatto ad un film noir degli anni ’60, poi è un continuo sali/scendi di emozioni che esplodono in chitarre shoegaze, e, alla fine, l’ascoltatore si sente come se fosse nella Roadhouse di Twin Peaks. Considerate anche voi questa traccia così importante dal momento che ha dato il titolo all’album?
Sì, decisamente. Questa canzone è arrivata circa a metà della registrazione dell’album e penso che ci ha dato la vera prospettiva di cosa fosse la nostra musica e dove potesse andare dopo. Il testo è molto onesto e vulnerabile e incarna un po’ lo spirito dell’album. Questa canzone è nata durante un periodo piuttosto difficile per noi, quindi ci sono sentimenti variegati di speranza e disperazione che l’hanno alimentata.
Adoro “Daylight”, mi parlate di come questa canzone è nata?
Grazie Ricky. “Daylight” (come la maggior parte delle nostre canzoni) è iniziata come un loop di chitarra, a cui Katie ha poi messo una melodia e gradualmente ci abbiamo costruito intorno. Il modo in cui scriviamo le canzoni è molto frammentato, come un collage di idee che viene organizzato nel tempo.
Magnifico il lavoro di chitarra in “Different Time, Different Place”, ogni volta che lo sento sono portato a dire che questa è la vostra canzone più guitar-(dream)-pop. Che ne dite?
Grazie ancora. Questa è stata una delle rare occasioni per noi in cui una canzone è cresciuta in modo abbastanza fluido. Ammiriamo molto band come Deerhunter, Diiv, Ulrika Spacek, in cui le chitarre sono molto cicliche ma melodiche, quindi penso che le parti di chitarra su questa canzone siano state in parte influenzate da quel tipo di suono.
“Portra” è una canzone bellissima. Ha una base ritmica molto mutevole e incalzante: sembra una ninna nanna che poi sfocia in un sogno distorto e industriale. è una canzone inquietante. Cosa vi ha ispirato per questo brano?
Quanti complimenti, grazie. Prima ho citato alcune band, ma è giusto dire che siamo davvero ispirati da artisti come Boards of Canada, Burial, Jeff Mills. Col senno di poi penso che “Portra” fonda insieme elementi di quel tipo di suono industriale, ricco di sample con un song writing più tradizionale. Liricamente, la canzone tratta dei sentimenti di impotenza e insignificanza che ti avvolgono quando ti rendi conto di quanto sia complesso il mondo intorno a te
Quali sono i 5 dischi che portereste su un’isola deserta, se doveste andarci?
è sempre difficile restringere il campo a così pochi, ma se dovessimo scegliere sarebbero probabilmente
(in nessun ordine particolare…):
Deerhunter – Halcyon Digest
My Bloody Valentine – Loveless
Radiohead – Kid A
Mazzy Star – Among My Swan
Grouper – The Man Who Died in His Boat
Grazie ancora per la vostra gentilezza ragazzi. Lasciate che vi faccia un’ultima domanda. Sarei curioso di sapere se la vostra musica riflette anche il vostro carattere?
Nessun problema Ricky, grazie a te per l’intervista! Penso che i White Flowers esistano separatamente dalle nostre vite personali. è bello avere questo mondo in cui possiamo ritirarci e creare cose, ma è anche importante che rimanga solo un aspetto di noi stessi e non un lato unico e principale che tutto assorbe.
Photo Credit: Hannah Cobb