Di Antonio Paolo Zucchelli e Cavrioli Riccardo
Nel novembre del 2019 Kip Berman ci spezzava il cuore, annunciano la fine dei Pains Of Being Pure At Heart, il progetto che portava avanti, con molte soddisfazioni, dal 2007. Ben presto il nome di Natvral (inaugurato nel 2018) ha preso sempre più piede, spiccando per un approccio ben diverso da quello della sua precedente band. Il disco “Tethers” è finalmente tra le nostre mani e l’occasione era davvero ghiotta per scambiare due chiacchiere con un artista che ha sempre amato l’Italia, ricevendone in cambio affetto e meritate attenzioni.
(L’intervista nella sua veste e forma originale è recuperabile sul numero 488 – Aprile 2021 di Rockerilla)
Ciao Kip, come stai? La situazione con il Covid-19 sta migliorando negli Stati Uniti? Album finalmente arrivato, immagino tu sia contento.
Sono sollevato, più di ogni altra cosa, dal fatto che questo disco che ho fatto finalmente vedrà la luce. Ho finito la prima metà dell’album il 25 ottobre 2018 e il giorno dopo andavo in ospedale con mia moglie perchè stava nascendo nostro figlio. Poi, quando avevo di nuovo programmato di pubblicarlo, il Covid-19 ha reso tutto questo impossibile. Pensare che finalmente ora è in uscita e mio figlio ha quasi 2 anni e mezzo è incredibile. Nonostante questo, il protrarsi della pandemia significa che probabilmente non riuscirò a suonare queste canzoni dal vivo almeno fino all’autunno, quindi c’è ancora da attendere un po’. Per quanto riguarda la situazione con il Covid-19, beh, è abbastanza noto come gli Stati Uniti non abbiano gestito bene il virus soprattutto a causa di Trump e di coloro che hanno preso spunto da lui. Da un lato è frustrante che così tante persone qui vedano la “scienza” come qualcosa verso cui puoi essere “a favore” o “contro”. D’altra parte, poichè abbiamo un’assistenza sociale poco valida rispetto ai paesi europei, molte delle persone che si sono opposte alle raccomandazioni sulla sicurezza pubblica non sono state supportate nel modo in cui avrebbero dovuto essere. Ci sono alcuni pazzi che pensavano che il virus non fosse reale e questo è un problema nostro, ma c’erano molte persone che si opponevano alla chiusura delle attività per motivi di sicurezza, perchè non avrebbero avuto abbastanza soldi per sopravvivere, sfamare la propria famiglia, pagare le bollette e l’affitto. è una situazione ingiusta mettere le persone in condizione di dover scegliere tra la salute pubblica e i mezzi di sopravvivenza.
I Pains Of Being Pure At Heart sono stati una delle mie band preferite dell’ultimo decennio e ogni live-show che ho visto è sempre stato ricco di pura gioia. Il vostro ultimo concerto al Locomotiv Club di Bologna nel 2018 è stata una sorta di festa che è piaciuta molto a tutti: pensi che fosse il momento giusto per concludere il progetto, andare avanti e concentrarti su qualcos’altro?
Grazie, ricordo molto bene lo show di Bologna! Era al Parco del dopolavoro ferroviario e il DJ aveva suonato musica fantastica tutta la notte. Sono grato che le persone, specialmente in Italia, facciano associazioni così felici con la nostra musica perchè è sempre stata una bella esperienza poter venire lì da voi a suonare. C’è l’espresso da “1 euro” sulle autostrade, cibo e bevande incredibili ovunque ti giri e la bellezza dei paesaggi che abbiamo visto non ha avuto eguali in tutti i nostri viaggi. Inoltre gli italiani amano davvero lo shoegaze in un modo così forte e sincero che in altri posti in Europa non riescono a eguagliare. Non so perchè sia così, ma sembra proprio che i Jesus and Mary Chain siano molto più apprezzati e idolatrati in Italia che altrove e le band che sono ispirate da questo gruppo sembrano davvero ben accettate. Per quanto riguarda la fine del progetto in quel momento, sì, era un buon momento per farlo. Abbiamo registrato il nostro ultimo album, “The Echo of Pleasure” nel gennaio 2016, tre mesi prima della nascita di mia figlia Viola. Dopo essere diventato padre, mi sono trasferito da New York a Princeton, una città universitaria a circa 70 KM a sud dalla città . The Pains Of Being Pure At Heart rispecchiano quegli anni in cui sono arrivato a New York, gli amici che avevo lì e le esperienze che abbiamo condiviso e sembrava giusto che, una volta che la mia vita, la mia casa e la mia identità fossero cambiate, cambiasse anche il modo in cui la mia vita avesse avuto un senso attraverso la musica.
Penso che siamo stati molto fortunati come band. Molti dei gruppi che ci hanno ispirato non sono mai riusciti a fare la metà delle cose che abbiamo fatto. E alcune band che erano più grandi di noi sono finite in modi tristi o hanno continuato a fare della musica che era, in qualche modo, meno incisiva rispetto a quando avessero iniziato. Siamo ancora tutti amici e penso che i dischi che abbiamo fatto abbiano, a modo loro, un valore unico.
Ora sei un orgoglioso padre di due figli, Viola e Maury: questa cosa così importante quanto ha cambiato la tua vita di musicista che va in tour? E inoltre quanto ha influenzato il modo in cui pubblichi la musica e scrivi le tue canzoni?
Grazie! Sì, mentre so che questa è una cosa che molte persone sperimentano, sono ancora stupito di averla vissuta. Quando Viola è entrata nella mia vita, ho praticamente abbandonato tutto e sono rimasto a casa con lei mentre mia moglie tornava al lavoro. Andavamo in giro per Princeton tutto il giorno, ovunque, dalla caffetteria, ai parchi, al negozio di dischi, persino a mangiare nella sala da pranzo dove gli studenti dell’università consumavano i loro pasti. è divertente ripensarci ora: ho passato molto tempo ad aspettare. Ho ritardato l’uscita di “The Echo of Pleasure” di oltre un anno, fino a quando mia figlia non è stata abbastanza grande da poter viaggiare per suonare a qualche concerto. Stavo iniziando a pensare di poter pubblicare musica come The Natvral e possibilmente di tornare di nuovo in tour quando è nato mio figlio Maury. E dopo un altro anno e mezzo, quando era finalmente un po’ più grande, ho ritenuto giusto pubblicare questo disco; poi è arrivato il Covid-19 e ho dovuto rimandarlo di un altro anno. Non ero troppo deluso, però, perchè ero mi ero abituato a questo tipo di evento. Altri musicisti erano più frustrati, ma questa era una realtà che conoscevo dal 2016, quindi sono andato avanti. Inoltre, le canzoni non “vanno a male” (si spera).
The Natvtral è un tipo di progetto totalmente diverso da TPOBPAH: posso chiederti quanto è cambiato il tuo approccio alla musica per il tuo nuovo disco?
Ho fatto quasi tutto l'”opposto” rispetto a come ho sempre fatto le cose con i PAINS. Non ho usato pedali per effetti per chitarra, ho solo collegato la mia Telecaster a un amplificatore Fender Princeton (perchè è lì che vivo, ah!). E abbiamo registrato senza metronomo. Quasi tutto ciò che senti nel disco è “live”, poichè abbiamo suonato tutti contemporaneamente. Ho imparato a “trattare” le canzoni mentre le suonavo “nel modo giusto”, se ciò ha senso. Non ho provato a immaginarne una versione idealizzata con una band completa o con un arrangiamento elaborato, ho solo scritto con la mia chitarra e cantato. Così, mentre ci sono musicisti che suonano insieme a me su “Tethers”, il disco è stato fatto per lo più alla vecchia maniera: un cantautore si presentava in studio e c’erano dei musicisti lì per suonare la canzone con lui o lei, ma non è certo stato come se la touring band di quel cantante avesse provato per suonare su quel disco, è più giusto dire che bravi musicisti suonavano nel modo migliore possibile. Volevo catturare qualcosa di libero e sciolto che avesse un livello emotivo immediato e spero che ciò sia avvenuto.
Come mai hai deciso di pubblicare la tua musica come The Natvral invece di farla uscire con il tuo nome? C’è una ragione particolare per questo? La parola maturità pensi ti sia accostabile?
Forse è il mio pregiudizio, ma quando una persona di una band pubblica un disco con il proprio nome, viene fatta ogni sorta di supposizione sul suo lavoro, che sia in qualche modo “maturo”, “contemplativo” o apertamente “autobiografico”. Oppure di solito è solamente un po’ noioso, perchè può sembrare un sequel di un film fatto in modo superficiale, in cui puoi passare più tempo con i personaggi che conosci, ma tutta l’azione reale che ha definito queste persone è già avvenuta. Quindi volevo che le persone ascoltassero queste canzoni senza molti di quei presupposti della musica da “cantautore”. Volevo che suonasse empatico, forte e libero. Volevo che fosse una cosa propria, non solo “il disco solista di quel ragazzo di quella band”. Sul discorso della maturità , come accennavo prima, posso dirti che la “vera maturità ” significa fare un passo avanti verso l’accettazione dell’età . Gli ultimi cinque anni mi hanno insegnato a giudicare meno e a lasciare che le persone facciano le loro scelte per la propria vita, anche se sono scelte sbagliate. Se questo è ciò che intendi per maturità , riconoscendo la futilità delle nozioni tradizionali del termine, allora sì, questo disco è “maturo”. Mi piace la vecchia signora del mio quartiere che ha i capelli color arcobaleno, perchè sa che la vita è troppo importante per essere presa sul serio.
Ho letto che “Tethers” è stato registrato con il tuo collaboratore di lunga data Andy Savors: è stata una scelta ovvia per te? Inoltre, come al solito, hai lavorato con un gruppo di amici talentuosi come Jacob, Brian, Sarah e Kyle: quanto sono stati coinvolti nel processo di registrazione? Cosa hanno aggiunto al tuo suono?
Senza Andy Savors niente di tutto questo sarebbe accaduto. Ha anche registrato l’EP “Know Me More” che ho fatto nel 2018. Avevo appena finito lo scorso tour dei Pains ed ero a Londra per un giorno prima di tornare a casa. Mi ha invitato nel suo studio per registrare alcune nuove canzoni che avevo scritto, ma non assomigliava per niente al modo in cui registravo con i Pains. Quando sono arrivato aveva solo un microfono e un amplificatore e ha detto “ok, suona le tue canzoni, le registrerò“. Ora, la maggior parte delle band, quando registra, inizia registrando la parte di batteria (di solito su un metronomo) e poi il basso, poi la chitarra, dopo di che il cantante canta la parte principale e poi vengono aggiunti i backing vocals. Ma quella volta ero solo io a suonare e cantare e poi siamo andati al pub dopo aver preparato quattro canzoni in un pomeriggio. E quello era l’EP. L’album, anche se c’erano altri strumenti coinvolti (batteria, basso, tastiere), fondamentalmente lo abbiamo fatto allo stesso modo. Abbiamo sistemato tutto in una stanza e poi abbiamo suonato le canzoni. Questo ha permesso alla musica di connettersi al sentimento umano che ha creato le canzoni. La vita della musica viene catturata, non perfezionata e penso che sia per questo che il disco suona così diverso da quello che stavo facendo con i Pains, perchè il modo in cui lo abbiamo realizzato è stato molto diverso. Lasciami dire ancora una cosa su Andy. Si potrebbe pensare che un buon produttore possa migliorare la musica attraverso tutti quei trucchi di studio. Ma Andy è stato o molto brillante o molto pigro, dato che in pratica ci ha fatto cogliere e suonare le nostre canzoni e ha premuto “registra”. Come mi ha spiegato in seguito, ha pensato “Non c’è niente da migliorare con queste canzoni, a patto che tu le suoni abbastanza bene“. Forse questo suona presuntuoso, ma non è questo il punto. Quello che voleva dire era che non sarebbero state migliori con tutti i tipi di manipolazione in studio e la freschezza che senti è proprio l’assenza di ciò che è fin troppo presente su molti altri dischi che escono in questo momento.
Dopo tante distorsioni con la tua precedente band è bello come per il tuo primo LP come The Natvral ti sia spostato verso paesaggi sonori folk…
Penso che il suono sia nato per caso, dato che suonavo spesso una vecchia chitarra con le corde di nylon nel mio soggiorno quando ero a casa con mia figlia. è il tipo di chitarra che è stata colpita e distrutta da innumerevoli giocattoli, è stata usata e riusata, con le corde tirate fino a quando non si spezzavano e avanti così. Questa così è il manifesto di come mi sento anche riguardo alla musica. Voglio che le canzoni posseggano la sensazione che tu possa toccarle, tenerle in mano: non sono per un museo o in alcun modo “off limits”.
Bob Dylan e Neil Young sono stati due ispirazioni per il tuo primo disco come The Natvral: li ascoltavi anche durante l’avventura dei TPOBPAH?
Dylan è un artista che sembra essere stato un disservizio da parte dei suoi biografi, agiografi, guardiani, ecc. da sempre ho sentito che fosse inavvicinabile, perchè era “Il grande uomo” o qualcosa del genere. Tutte queste persone scrivono libri su di lui, cercano di decifrare i suoi testi e lo trattano come un santo o un profeta. Quel tipo mi aveva stancato quando ero più giovane. Ho trovato molto più conforto nella musica di Leonard Cohen, perchè sembrava così emotivamente accessibile. Ad esempio puoi semplicemente “sentire” la malinconia, la bellezza, la frustrazione, il desiderio, tutte quelle cose molto reali sembravano essere lì e mi parevano riconoscibili. Ma poi ho preso un vinile bootleg del lato elettrico del suo concerto Live at Royal Albert Music Hall del 1966 nel mio negozio di dischi qui a Princeton. E l’ho ascoltato molto spesso ed era così sciolto, divertente e libero. Mi è sembrato di poter dire: “Ehi, quello è solo un ragazzo che suona delle belle canzoni”. E i testi erano molto più divertenti, più freschi e riconoscibilmente umani mentre lo ascoltavo con le mie orecchie. Quindi questo mi ha fatto tornare sui miei passi per ascoltare alcuni dei suoi dischi degli anni ’60 da “Another Side of Bob Dylan” in poi fino a “Blonde on Blonde” e anche cose dal vivo. Mi sono davvero innamorato e il Dylan che ho trovato era molto più una persona che un mito, se ciò ha senso. Su tutto c’è quella libertà con il linguaggio, il dire cose che non sempre sono in linea con il significato, ma hanno comunque un senso e questo mi ha davvero colpito e direi che, più che fare una replica scadente di Bob Dylan, alcuni aspetti della sua musica sono stati in grado di aprirmi a nuovi modi di esprimermi. Per quanto riguarda Neil Young, beh, penso che sia stato il suo album “Tonight’s the Night” a ispirare il modo in cui abbiamo delineato “Tethers”. Andy Savors, il produttore, era davvero preso da quel disco e pensava che un simile di processo “veloce e diretto” avrebbe funzionato anche per noi. Non avevamo molto tempo, solo pochi giorni, quindi abbiamo semplicemente riunito le persone e suonato le canzoni dal vivo nel miglior modo possibile. Penso che abbiamo catturato quel momento nel modo giusto.
Dal punto di vista dei testi su cosa ti sei concentrato?
Sai, penso di essere come un qualsiasi ascoltatore della mia musica: trovo il significato nella canzone quando è finita. “Why Don’t You Come Out Anymore?”, ad esempio, è solo una serie di ricordi di persone che avevo conosciuto, cercando di dare un senso al cambiamento delle loro vite e anche alla mia. “New Moon” sembra essere la canzone che canteresti a qualcuno che ami, che forse ti ama ancora, prima che si sposi con qualcun altro. Ma non è combattere il matrimonio o implorarli di riconsiderarlo, è accettarlo. Per questo disco, gran parte di quello che ho scritto riguarda altre persone: è la mia vita in relazione a quelle altre persone. “Runaway Jane” parla di qualcuno che veniva dal Brasile, ma una volta l’ho incontrato a Brisbane, in Australia, e ora vive in Canada. Stavo solo cercando di dare un senso a una vita che era sempre in transizione, anche se la mia si stava consolidando in qualcosa di riconoscibilmente “normale”. Stessa cosa con un’altra persona che conoscevo, in “Sylvia, The Cup Of Youth”. E non stavo dicendo che un modo di essere fosse migliore dell’altro, stavo solo cercando di capire quella divergenza nei nostri percorsi.
Mi piace molto quando suoni la chitarra da solo, ma ci mostri due facce diverse del tuo suono: “New Moon” è dolce e intima, mentre “Sylvia, The Cup Of Youth” è grintosa e piena di passione, sia nella voce che nel modo di suonare la chitarra. Due approcci diversi, ma anche due facce della stessa medaglia: sei d’accordo?
Questa osservazione è molto gentile da parte tua. Per me era importante realizzare un disco che potessi suonare in una varietà di ambientazioni. Potrei andare in tour solo io o potrei andare in tour con una band, ma non volevo che l’esperienza delle persone che venissero a vedermi sembrasse come se una versione fosse quella reale e l’altra una meno importante. Per quanto riguarda la diversa natura di quelle due canzoni, penso che mi stesse divertendo molto Billy Bragg e il modo in cui ha sfidato le convenzioni della musica da “cantautore” o “folk”, sia suonando una chitarra elettrica che suonandola con aggressività . Per esempio, non si è limitato a prendere in mano una chitarra acustica, a prendere degli arrangiamenti di archi di buon gusto e a fare una versione molto prevedibile di “folk rock”, no, si è esibito con la potenza e l’aggressività del rock ed è capitato che lo facesse da solo, non accompagnato. Anche se la mia musica non suona (o non dovrebbe essere) come la sua, mi piace l’idea di una sorta di “broken folk”, sfidare le aspettative delle persone su cosa significhi vedere qualcuno esibirsi sul palco da solo.
Lo scorso maggio hai messo online alcune cover: hai suonato canzoni di band e artisti molto famosi, ma hai anche proposto una delle canzoni dei My Favorite, una band che giudico davvero sfortunata. Anche tu, credo, la pensi come me.
Conosco Michael Grace Jr da un po’ di tempo, poichè la mia vecchia compagna di band Peggy Wang era ossessionata dai My Favorite quando era al liceo. Anch’io ero un grande fan, era una delle cose su cui ci siamo trovati. Quindi essere a New York e vederlo in giro alle serate, nei club, è stato da brividi. Anni dopo ero persino comparso nel suo video di “Johnny Panic”. Ma hai ragione, i My Favorite sono stati molto sfortunati. Sono quasi dei moderni Felt, in cui la loro assenza di successo diventa la loro “pretesa” di fama. Penso molto al motivo per cui una certa band vada bene e un’altra non faccio uno stesso percorso e non abbia medesima fortuna. Quando suonavano i My Favorite, fu quando band del calibro di The Strokes, White Stripes, The Hives e altri gruppi revival garage rock stavano ricevendo molta attenzione. Era un periodo di musica rock molto viscerale, suonata esclusivamente con le chitarre. E quando band come The Killers hanno iniziato a rendere di nuovo popolare la musica rock realizzata con un sintetizzatore sul palco, la band era praticamente finita. I My Favorite erano una band indie-pop/post-punk cerebrale, in un momento in cui il mondo della musica aveva pochissimo interesse per queste cose. Poi, anni dopo, quando stava nascendo la mia vecchia band The Pains of Being Pure at Heart, la gente sembrava vedere queste qualità positivamente.
Grazie ancora Kip per la tua gentilezza, speriamo davvero di vederci preso, magari qui in Italia.
Grazie a voi! Certo che potremo incontrarci! Sarò sempre felice di chiacchierare con voi della vita, della musica, o di qualunque cosa tu voglia. è divertente per me. Comunque non vedo l’ora di poter tornare in tour, in qualsiasi momento sarà possibile. Per ora, speriamo in tempi migliori.
Photo Credit: Remy Holwick