Figurarsi se all’epoca potevo capirlo un disco simile.
Nicke Andersson che si mette a fare rock’n’roll? Ignorante, grezzo e sparato quanto vuoi, ma io volevo solo il Death Metal e già “Wolverine Blues” degli Entombed mi lasciava pensare che qualcosa non era a posto. Quante cose sono cambiate da quei primi ascolti. Ora questo album lo adoro. Nicke ha militato in molte band, alcune davvero nate e morte nel giro di poco, la sua creatività e la sua incapacità di stare con le mani in mano è ormai nota a tutti, però i The Hellacopters hanno dimostrato una vitalità e una forza propulsiva che è riuscita ad andare oltre al semplice concetto di side project. Quello di cui parliamo ora è l’esordio della band, opera prima che vede all’opera la premiata ditta Andersson e Dregen (Backyard Babies) che ci danno dentro come i forsennati tra garage rock, punk e hard rock. In questo folgorante album non è ancora emersa quella vena da “tributo ai Kiss” che caratterizzerà i successivi dischi della band, anzi siamo in piena zona Motörhead (“24H Hell” la dice lunga!) o MC5 strafatti di anfetamina. Energia che esplode dalle casse, un suono che non ci lascia tregua, cavalcate sporchissime e sudate che guardano al punk primordiare, per questa voglia di essere diretti e senza fottuti compromessi.
L’anima stradaiola e punk è ben gestita non solo dai due eroi citati, ma pure dalla sezione ritmica, formata da Kenny Hakansson e Robert Eriksson, ex roadie degli Entombed, che ci danno dentro con gusto, lavorando sodo (a dire poco) per sostenere le accellerazioni e i riff taglienti che si susseguono.
Che poi, attenzione, non si va solo ai mille all’ora. Provate a non restare invischiati nel sound torbido e invasivo di “TAB”, tanto per fare un nome: 5 minuti in cui ci si sente come nelle sabbie mobili di una palude, una canzone malsana a dire poco, con queste urla brutali e le chitarre che ci fanno affondare nel liquame. Tanto quanto prima erano quasi stoner, ecco che ora le chitarre sono a dir poco fumanti e imbevute di melodia a mille in una perla assoluta come “(Gotta Get Some Action) NOW!” o nel rock abrasivo, quasi vecchio stampo ma gonfio di steroidi, di “Fire Fire Fire”. Poi ecco che arrivano i numeri punk come “Random Riot” o “Fake Baby”, quelli che non lasciano scampo e via, a testa bassa, senza tregua. Adoro poi i ragazzi quando si buttano in numeri come “Bore Me”, in cui (in apparenza) sono completamente sgraziati e fuori controllo: una meraviglia.
Non c’è neanche bisogno di chiedersi perchè questo esordio si porterà a casa un Grammy svedese: vittoria più che meritata.
Pubblicazione: 1 giugno 1996
Durata: 57:11
Dischi: 1
Tracce: 13
Genere: Hard rock, Garage rock, Punk rock
Etichetta: White Jazz Records, Toy’s Factory, Man’s Ruin Records
Tracklist:
1. (Gotta Get Some Action) NOW!
2. 24h Hell
3. Fire, Fire, Fire
4. Born Broke
5. Bore Me
6. Tab
7. How Could I Care
8. Didn’t Stop Us
9. Random Riot
10. Fake Baby
11. Ain’t No Time
12. Such a Blast
13. Spock in My Rocket