Non è da tutti i giorni imbattersi in un disco come quello di Gloria Turrini e Mecco Guidi: quinto di altrettanti fratelli, “G and The Doctor” raccoglie l’esperienza pluriennale dei due musicisti romagnoli in un melpot riuscito di influenza varie, dal blues al jazz passando per accenni di rock’n’roll, in un tributo alle origini del genere.
Undici tracce che i due – già collaboratori di numerosi nomi del panorama nazionale ed internazionale, con un importante percorso alle spalle fatto di palchi, chilometri percorsi e viaggi intercontinentali – confezionano con la naturalezza dell’artigiano e attraverso l’estro dell’artista, in un atto di genuina e gioiosa devozione al blues come strumento di catarsi e, al contempo, principio di aggregazione ed entertainment.
“G and The Doctor” è un disco diverso – il secondo della band per Brutture Moderne – che conferma la necessità di riaggionare codici e valori di decodificazione musicale al netto di una recuperata esperienza del passato, che nel nuovo lavoro di Turrini e Guidi appare come gravido e pregno di futuro. Per andare più a fondo nella questione, abbiamo fatto quattro chiacchiere con i due, che ci hanno raccontato delle loro vite tra New Orleans e il Mississippi, dei ruggenti anni Venti e dello spirito del Blues. Godetevela!
Benvenuti su Indieforbunnies! Domanda spacca ghiaccio di turno: come vi siete conosciuti e quale è il miglior pregio e il peggior difetto che l’uno riconosce nell’altro. Fuori gli altarini, insomma!
Mec: Ricordo che la prima volta che abbiamo suonato insieme fu in un locale di Ancona grazie al mitico batterista Vince Vallicelli, poi a distanza abbiamo cominciato a collaborare sempre più spesso fino ad arrivare qui. Il miglior pregio di Gloria è secondo me anche un suo difetto, cioè che è sempre sul ” pezzo”, talmente tanto che fai fatica ad aiutarla. Per me questo è una fortuna, perchè avere una partner che guida come un camionista, monta e smonta impianto come un service audio, gestisce il calendario come un un’agenzia di booking e in più è sempre performante nei concerti, non è per niente male!
Glo: Se non ricordo male ci siamo conosciuti nel 2005 perchè ci siamo ritrovati a suonare insieme”… ci siamo poi persi di vista e re-incontrati nel 2008. Ma come si fa a dire un solo pregio o un solo difetto? Sicuramente è un amico vero e, a volte, è un po’ “zuccone”, ma chi non lo è?!
Leggendo il vostro curriculum, impressiona il numero di artisti di spicco con i quali avete collaborato negli anni. Oggi, fare il mestiere del musicista sembra sempre più difficile, e la produzione della musica sta portando le nuove leve ad allontanarsi, nell’era del dilettantismo istituzionalizzato, dallo studio dello strumento, abbracciando piuttosto le potenzialità offerte dalla tecnologia. Vorrei chiedervi un opinione sulla situazione attuale del settore, voi che più di tutti lo vivete dall’interno, e se vi va di dare un consiglio agli aspiranti “lavoratori della musica” che stanno leggendo questa nostra intervista.
Mec: Domanda un po’ complessa, per quello che mi riguarda ho sempre lavorato con la musica, ho iniziato nel 1994 e fortunatamente non mi sono mai fermato. Ho sempre investito nelle produzioni e nel live e non sull’insegnamento. Il “lavoro” della musica nasce sempre dalla passione e attraversa alti e bassi come molti lavori da libero professionista. Se devo dare un consiglio, è di essere aperti di vedute, pensare alla musica a 360 gradi approfondire gli stili, collaborare con tante persone e adattarsi per poi esprimersi con lo strumento e ad avere un proprio linguaggio. Il passare del tempo poi aiuta a maturare più sicurezza e consapevolezza sullo strumento.
Glo: Quoto Mecco!
In effetti, anche il mondo del jazz in Italia sembra sempre più avviato a circoscriversi in una nicchia. Numerosi progetti stanno tentando la via della contaminazione (penso a progetti giovani come i Nu Guinea, o al nuovo cantautorato di stampo soul di Venerus o di Marco Castello) mentre voi, in “G and the Doctor” riportate il linguaggio blues alla sua forma, se vogliamo, più tradizionale. Da dove nasce questa necessità di “recupero culturale”?
Mec: Nasce dalla passione comune per la musica blues, soul e traditional. Ho sempre lavorato nell’ambito jazz più in veste di organista, investendo tempo in produzioni discografiche e collaborazioni, suonando l’hammond in varie formazioni e con vari artisti. Grazie al progetto in duo con Gloria mi sono addentrato nello stile “stride piano” e ho approfondito il primissimo jazz-blues e anche il rock”‘n’roll.
Glo: Io mi sono avvicinata al canto molto tardi ma appena ho cominciato a prendere lezioni ho sentito la necessità di capire da dove venivano quei suoni a me cosi familiari. Così mi trovata a viaggiare negli Stati Uniti alla ricerca delle radici di quelle sonorità , lungo le rive del Mississippi e nei pochi juke joint ancora attivi. Giungendo poi a New Orleans, dove mi sono affacciata al jazz tradizionale.
Parliamo del disco. Undici tracce che avvolgono e divertono, regalando spunti musicali di gusto attraverso una sapiente scelta dell’essenziale; “G and the Doctor” in effetti è un lavoro che sembra ridurre all’osso l’orchestrazione per lasciar emergere forma canzone ed interpretazione. Com’è andato il lavoro in studio, e c’è qualche aneddoto divertente che vi va di raccontare?
Mec: Il lavoro in studio per via dell’ensemble così ridotto, piano, batteria e voce è stato molto semplice da registrare. L’esecuzione dei brani pur non avendoli mai suonati, per via del lockdown, è stata molto istintiva e semplice, questo ovviamente è ereditato dai tanti Live fatti insieme a Gloria e al grande feeling e affiatamento che abbiamo.
Glo: per me è stata una grande sfida suonare la batteria a click!
Tra l’altro, come siete soliti lavorare voi due? Esistono dei “ruoli” stabiliti anche in fase di lavorazione dei brani oppure la vostra è una dinamica di confronto elastica? Insomma, ci sono cose di cui solitamente si occupa solo Mecco e altre di cui si occupa Gloria in solitaria?
Mec: Normalmente avendo l’attrezzatura e la conoscenza dei programmi audio per registrare mi occupo più della parte delle riprese, del mix e del mastering del disco. Ovviamente chiedendo sempre un confronto con Gloria e Duna Studio. Per quello che riguarda la scrittura è Gloria che è determinante, è da lei che nascono melodie, testi ed in alcuni casi il giro armonico. Vengono poi spesso valutate insieme stesure ed arrangiamento.
Come tutti i musicisti di lungo corso, cresciuti a “pane e palco”, avete un grande amore per le collaborazioni con altri artisti. Penso ad Andrea Guerrini alla tromba su diversi brani del disco, o ai Lovesick Duo. Come nasce il vostro rapporto con entrambe le compagini?
Mec: Con i Lovesick nasce da una grande stima reciproca ed un po’ di palchi dove abbiamo suonato insieme. Con Andrea Guerrini la collaborazione è nata durante la rassegna Porto del Jazz a Cesenatico dove a sorpresa è salito sul palco e da quel momento non è più sceso. Conosce bene lo stile e fa parte del progetto.
Glo: Esatto, con Andrea è stato “amore a prima vista”! E con Paolo e Francesca pure! è bello trovare persone che sanno stimolarti e che amano l’interplay.
Chiudiamo con una di quelle domande romantiche, che a noi piacciono tanto. La parola “blues”, storicamente, nasconde significati importanti, che vanno al di là della musica. Ma per voi, invece, che significa oggi “essere blues”?
Mec: Per quello che mi riguarda, a parte lo stile musicale, penso che il blues sia come altri generi jazz, soul, reggae, funk etc… un volta approfondito devi renderlo tuo e cercare di esprimerti utilizzando quel linguaggio. Più ci credi e più sei credibile perchè ti stai emozionando e questo si trasmette a chi ti ascolta.
Glo: Più che “essere blues” direi “avere il blues”, inteso come feeling, come sensazione che ti pervade. Il bello, come diceva Muddy Waters, sarebbe cantare il blues ma non viverlo. Cose che, spesso, sono difficili da scindere.