Sono tornati i The Boo Radleys. Ok, direte voi, manca Martin Carr. Vero. Però l’emozione di rivedere un nome storico per il pop ‘made in UK’ è tantissima. Variegati, capaci di cambiare direzione tante volte ma anche di non perdere (quasi) mai la bussula, i Boo Radleys hanno realmente fatto scuola negli anni ’90. La TOP 10 dedicata a questi eroi non poteva che essere inevitabile: ripercorriamo la loro carriera (nessuna classifica, ci tengo a precisare!), tralasciando però “Kingsize” (1998) che continuo a ritenere un lavoro quantomeno discreto, ma incapace di fornire una canzone che possa meritarsi di stare in una top 10 della band.
Kaleidoscope
1990, da “Kaleidoscope EP”
Gli inizi della band di Liverpool sono sonici e rumorosi, in orbita shoegaze, senza dimenticare le sfuriate di Dinosaur Jr. e My Bloody Valentine. L’esordio “Ichabod And I” è sicuramente derivativo e in certi frangenti fin troppo fracassone, ma che la classe non sia acqua ce lo dimostra un brano come “Kaleidoscope” che poi ritroveremo in un successivo EP e, ancora, nella raccolta “Learning To Walk”. Shoegaze evocativo e suggestivo, con una punta di malinconia alla Ride che rende il pezzo davvero degno di nota.
The Finest Kiss
1991, da “Every Heaven EP”
“The Finest Kiss” apre l’EP “Every Heaven” in modo superbo. La canzone è magnifica, melodicamente parlando e il rumore delle chitarre si sviluppa ad ondate, in modo da dare il giusto merito alla voce di Sice che disegna un ritornello da pelle d’oca, salvo poi lasciare spazio alla chitarra che sale magnificamente di tono e in rumore. Il periodo shoegaze della band va, a mio avviso, tenuto in altissima considerazione.
Spaniard
1991, da “Everything’s Alright Forever”
E’ la Creation Records a pubblicare questo nuovo album dei Boo Radleys che iniziano ad allargere i loro orizzonti. La parola shoegaze non scompare certo dal loro vocabolario, ma, come si percepisce già da questo brano che apre il disco, la band inizia riempire la propria faretra di tante frecce diverse. Qui si punta su una capacità evocativa fuori dal comune, con la preziosa tromba a rimarcare la suggestione e una chitarra acustica che l’avesse tirata fuori Jonny Greenwood ne staremmo ancora qui a parlare per i prossimi secoli futuri. Invece è targata Martin Carr e Sice. Il disco in cui i Boo smettono di guardarsi le scarpe con decisione e iniziano ad alzare la testa.
I Hang Suspended
1993, da “Giant Steps”
I passi da giganti sono proprio quelli che i Boo Radleys compiono per arrivare a un disco in cui la qualità è altissima. Tutto quello che toccano diventa oro puro e pur muovendosi ormai a 360 ° eseguono il tutto con una naturalezza pazzesca. “I Hang Suspended” è indie-rock quasi in odor di glam, con queste chitarre distorte che viaggiano alla grande su un ritornello traboccante di melodia.
Wish I Was Skinny
1993, da “Giant Steps”
Vista l’importanza e la bellezza di “Giant Steps” ci si sente in dovere di pescare un altro brano che possa rappresentare l’album. Cosa scegliere? La pimpante “Barney (…And Me)”? La lisergica e magnifica “Lazarus” con i suoi “papapapa” e mitici “fiati alla Boo Radleys” nel ritornello a farlo decollare? La liquida (e poi dissonante) “I’ve Lost the Reason”? La ritmata “Rodney King”? Tra le tante perle vado di “Wish I Was Skinny” che trovo perfetto esempio di guitar-pop, quasi di scuola scozzese verrebbe da dire, vista la magia cristallina che si sprigiona.
Wake Up Boo
1995, da “Wake Up”
Ed eccola qui, una delle canzoni che a mio avviso è il vero emblema del britpop e brano che più di ogni altro ci ha fatto coniare il termine “fiati alla Boo Radleys”. “Wake Up Boo” è travolgente, incalzante, e ti conquista fin dal primo ascolto. Melodia che entra dritta in testa con i Beach Boys che se la spassano con i Beatles mentre fuori il mondo è tutto sole e sorrisi. La giornata non potrebbe cominciare meglio. Questa non è una canzone è un vero e proprio inno. Trionfale.
Find the Answer Within
1995, da “Wake Up”
E via che si vola ancora altissimi. I Beatles nello spazio colorato. Sulle montagne russe guidate dalla truppa Martin e Sice ci si diverte un mondo con un ritornello appiccicoso a dire poco e poi ecco che partono i fiati e tutto diventa esplosione di gioia, suoni ed emozioni. Altra perla assoluta dal disco più “britpop” dei Boo.
Reaching out from Here
1995, da “Wake Up”
Nel disco più brioso, caldo, solare e frizzante della band, quello in cui il livello di sperimentazione cala e l’anima “beatlesiana” si alza decisamente, ecco che arriva anche un brano che mette la malinconia al primo posto. Una canzone che potremmo definire “semplice” per i Boo Radleys, senza tanti artifici, capace di andare dritta al sodo con soluzioni immediate: una chitarra acustica, la voce di Sice e poi la distorsione di Martin. Pochi elementi, ma messi giù in modo perfetto.
C’Mon Kids
1996, da “C’Mon Kids”
Nuovo disco e ancora i Boo mutano pelle. Chi si aspettava un percorso che potesse continuare la strada “britpop” del precedente album resta deluso. La band infatti tira fuori i muscoli e riprendere a lavorare forte sulla sperimentazione e la contaminazione, con i brani che si fanno più articolati, come in passato. La capacità melodica resta altissima e anche quando Sice e Martin sono belli incazzati, come nella title track, c’è sempre da divertirsi.
Ride The Tiger
1996, da “C’Mon Kids”
Anche in questo caso, come per “Giant Steps”, mi sento in difficoltà a scegliere un brano, vista anche la varietà stilistica che i Boo mettono in campo. C’è ancora furia sonora in “What’s In The Box (See Whatcha Got)”, ma anche la follia e la scanzonatezza di “Meltin’s Worm”, sempre caratterizzata da chitarre belle pimpanti, la super quota pop delirante di “Bullfrog Green” e la totale libertà di “Four Saints” che pensi di averla presa e poi ti sfugge, trasformandosi ogni volta in qualcosa di nuovo. Vado, alla fine, con “Ride The Tiger”, ballata d’altissima scuola, realmente da pelle d’oca.