VIPERA, al secolo Caterina Dufì, è una cantautrice pazzesca a parere di chi scrive.
A soli 23 anni ci ha regalato un esordio discografico tra i più interessanti dell’anno: l’EP “Tentativo di volo”, pubblicato per Dischi Sotterranei.
All’EP allega anche un cortometraggio spaziale, realizzato con l’aiuto di amici e parenti, che ci permette di immergerci ancora più in profondità in questa sorta di portale per un’altra dimensione.
Questo perchè “Tentativo di volo” è una perla rara composta da raffinatezza, ricerca sonora, dall’azzardo tipico dei ventenni e, soprattutto, da tanto talento. Il disco ti travolge in soli 10 minuti, un battito di ciglia se vogliamo, ma è capace di trascinarti in un luogo non luogo, sospeso tra lingue diverse, epoche diverse, musicalità diverse.
La voce di Caterina Dufì è cruda, senza effetti, cantalenante, recitata: si ha l’impressione di stare assistendo ad un’opera teatrale o ad un qualche rito d’iniziazione pagano.
Tra vestiti medievaleggianti, fiati, il basso avvolgente, la chitarra che incespica sulle percussioni, i suoni sintetizzati, VIPERA mette in atto il suo tentativo di volo. Che secondo me è andato a buon fine.
Di seguito le mie domande e le risposte dell’artista.
Ciao Caterina, ben trovata! Non sappiamo praticamente nulla di te, per cui la cosa più semplice è partire dal nome d’arte che hai scelto. Chi è Vipera, così pericolosa ma affascinante?
Vipera per me è ancora un oggetto di studio, un sistema complesso che coinvolge molti aspetti, volti differenti. Le parole che descrivono questo sistema possono essere contaminazione, ibrido tra generi, collaborazione con anime belle.
Sei appena uscita con un EP davvero sorprendente, “Tentativo di volo”, in cui smembri la forma-canzone a cui il nostro orecchio è abituato per plasmarla a tuo piacimento fino a renderla esperienza a tutto tondo. Come se stessimo assistendo ad un’opera teatrale. Sei molto giovane, per cui sono sinceramente incuriosita dai retroscena di questa produzione. Qual è la musica con cui sei cresciuta, chi sono i tuoi artisti preferiti?
Si gioca coi sensi e consensi creando scompensi, diceva uno. Uno dei divertimenti principali è stato il pervertire la forma canzone.
Sono cresciuta con l’emo italiano, quello urlato e sudato, con le chitarre crudeli e a volte matematiche di casa Dischord Records, ho ascoltato il cantautorato italiano (inerzia familiare e non), grande affetto verso la NoWave e mr Cap. Beefheart, le cose soniche degli anni novanta, il punk anni 70, i Television“… Oggi sto ascoltando tanto Frusciante, Eno, Laurie Anderson, Aldous Harding“…
L’EP si chiama “Tentativo di volo”. Questo tentativo appartiene a Vipera o a Caterina? E qual è la meta di questo viaggio aereo?
Il tentativo appartiene a chi se ne impossessa, perciò non so quanto sia calzante una distinzione tra nomi, alla fine entrambe mi assomigliano. La meta è, indubbiamente, il tentativo stesso. Una cosa che è molto genuinamente umana: giocare per il gioco.
Due dettagli, tra tutti mi hanno particolarmente colpita.
Il primo è che la tua voce cantata sembra essere completamente priva di filtri e si staglia, a volte anche in maniera tecnicamente non perfetta, sulla musica frammentata e ansimante. Il secondo è che passi da italiano a inglese da un momento all’altro, quando meno ci se lo aspetta.
Mi piacerebbe che ci spiegassi meglio queste scelte particolari.
Una voce si avvicina a un certo modo del parlare quotidiano. Mentre si canta mi piace quasi “riferire” la voce, quelle poche cose che per caso ho sentito dire ai passanti, piccole frasi di tonalità e colori lontani, sinfonia del disordine.
Il miscuglio di lingue è in realtà una cosa abbastanza datata, Battiato è stato uno dei migliori maestri da questo punto di vista, ma anche nella tradizione poetica, penso a Corrado Costa o all’Amelia Rosselli. Entrambe le cose fanno parte di un modo possibile di descrivere.
Caso, miscuglio, disordine.
Le produzioni musicali sono molto complesse e stratificate, troviamo sintetizzatori, chitarre, fiati, spoken vocals, percussioni esotiche. Quante persone sono state coinvolte alla realizzazione di “Tentativo di Volo”? è stato un lavoro realizzato di getto o ha richiesto molto tempo per venire alla luce?
Per il disco ho lavorato con Niccolò Cruciani (CRU, C+C=Maxigross), che è stata una guida per selve di suoni nuovi: scrivere il disco insieme è stato definire l’estetica del progetto, delinearne le intenzioni.
Siamo partiti da delle bozze chitarra e voce, abbiamo lavorato stratificando via via i suoni, improvvisandoci sopra, obliquamente. Siamo stati a registrare a fasi alterne per circa un mese prima di avere un lavoro in grado di soddisfarci.
Entrambi condividiamo un certo interesse per la sperimentazione, per le cose storte e dissonanti. Niccolò ha curato molto la struttura, il corpo sonoro e ritmico dei brani, produzione e mix. Il sax di “As with Fire” è di Jacopo Finelli.
Ho trovato la cover art dell’EP davvero fine e ho notato un certo simbolismo tra ulivo dorato, abito e viso dipinto. A cosa ti sei ispirata?
Mi sono ispirata una religiosità antica e senza nome, alle icone sacre al loro principio di eliminazione della tridimensionalità . Volevo incarnare una nuova carta possibile.
Il ramo d’ oro che tengo in mano è un leccio, è noto quale sia il suo utilizzo nel mito, (sul resto degli elementi preferirei tacere). La fotografia della cover è stata curata da Federico Rizzo, gli scatti sono stati fatti nei giorni che hanno seguito la fine delle riprese.
Oltre all’EP, hai realizzato un cortometraggio, in grado di far immergere l’ascoltatore in un vero e proprio viaggio che coinvolge la vista oltre che l’udito. Ho letto che il budget era davvero limitato e che avete letteralmente costruito il set, cucito gli abiti di scena da soli. Che esperienza è stata?
Un’ esperienza di laboratorio costante, partita da me e da Federico Rizzo.
Un alfabeto di simboli e oggetti che abbiamo creato e che è diventato man mano linguaggio, e lo ha fatto quasi da sè stesso. Dopo aver buttato giù le prime idee abbiamo iniziato a lavorare ai costumi con Enrica Marangio, che ci ha prestato anche degli abiti della sua collezione Disgraziate.
Poi le ali fatte insieme a mio padre, poi la macchina per il volo ideata e costruita da Federico, che con questo lavoro ha oltrepassato le leggi della fisica.
Dopo il lavoro sulla scenografia abbiamo cercato altri occhi che potessero lavorare con noi, quelli di Andrea Tundo come aiuto alla regia e quelli dell’inafferrabile Bruno Lame, operatore di macchina.
Restando in tema cortometraggio, che contiene praticamente tutti i brani di “Tentativo di Volo”, sembri essere molto legata al mondo della Commedia dell’arte, e all’espressione artistica realizzata mediante la recitazione. Qual è il tuo background a riguardo?
Ho letto e ho visto una serie di cose che mi hanno suggerito il da farsi, agisco da dilettante, l’attività più propriamente attoriale che svolgo è quella del cercare indizi nel mondo studiando gli atteggiamenti umani.
Sarebbe magico poterti vedere live, ora che i concerti sembrano ripartire, magari proprio valorizzando questa formula a mo’ di spettacolo, che è uno dei tuoi tratti caratteristici. Ci stai già pensando?
Certo, sto lavorando per conciliare la versatilità a una presenza di elementi scenografici sempre più consistente.
Questo incontra non pochi intoppi, visto che a chi crea è concesso poco più che lo spazio d’ aria per esalare i propri desideri, si lavora, – fiduciosi -, con la povertà dello stimolo.
Ti andrebbe di consigliarci 3 pellicole e 3 album a cui, per un motivo o per l’altro, ti senti particolarmente legata?
I film: “The Lighthouse” di Robert Eggers, “El Topo” di Jodorowsky e “Rapsodia Satanica” di Nino Oxilia.
I dischi: “Encyclopedia of Arto” di Arto Linsday, “The Clown” di Charles Mingus, “L’inerme è imbattibile” di Massimo Zamboni.