Esplosivi, colorati, divertenti i The Go! Team sono il più piacevole dei diversivi in un mondo musicale fin troppo attento alle mode, alle etichette. Non certo dei novellini visto che l’esordio “Thunder, Lightning, Strike” è uscito nel 2004, ben diciassette anni fa, ma sempre pronti a sventolare la bandiera della buona contaminazione fra stili e idee. Una fusione tra hip hop, funk, sample e melodia, soul e gospel che il collettivo di Brighton ha fatto propria e sparso a piene mani in giro per il mondo, un album alla volta (le recensioni di “Proof Of Youth“, “Rolling Blackouts” e “Semicircle” sono un buon punto di partenza per capire l’evoluzione del combo inglese).
Cos’è cambiato in quasi vent’anni di onorata carriera? Molti ma non tutti i musicisti coinvolti, mentre l’idea di fondo è rimasta fondamentalmente intatta: grande attenzione ai suoni, alla produzione. Si perchè Ian Parton, Ninja, Sam Dook, Niadzi Muzira, Simone Odaranile e Adam Znaidi sono soprattutto appassionati di musica, artisti curiosi che regalano sempre qualche gioia. Il sesto album “Get Up Sequences Part One” è la loro scialuppa di salvataggio dopo la diagnosi di sindrome di Mènière che Parton ha dovuto affrontare.
Dieci brani e diversi strumentali, la grinta bucolico – metropolitana di “Cookie Scene” e “Pow” ingentilita da armonie soniche vivaci che toccano il culmine già nella traccia d’apertura: “Let the Seasons Work”, l’equivalente di un “andrà tutto bene” formato tascabile pronto per la somministrazione. L’atteggiamento è quello giusto, le carte vengono messe in tavola senza barare. Se fosse uscita un mesetto prima “Freedom Now” sarebbe stata perfetta come sigla degli Europei di calcio, non mancano piccole pillole motivazionali (“I Loved You Better”, “We Do it but Never Know Why” e “A Bee Without its Sting”). “World Remember Me Now” insieme al Kansas City Girls Choir è la cartina di tornasole di un disco gioioso ma non certo rivoluzionario.
E’ cambiato l’universo i The Go! Team sono rimasti tenacemente uguali a se stessi. Pregio, difetto? Forse solo coerenza che basta e avanza per sfornare un sesto album pieno di buone vibrazioni, il classico feel ““ good record che prova a spazzar via le preoccupazioni. Ci riesce solo a tratti, non certo per mancanza di convinzione: semplicemente l’ottimismo di cui band come questa si cibavano fa parte del passato come molte altre cose. Visitare il mondo sonoro messo su dal sestetto è comunque un’esperienza da fare, almeno una volta nella vita.