Vi è mai capitato, rimuginando sull’immensità e sulle meraviglie dell’universo, di sentirvi così insignificanti da pensare di non essere nient’altro che dei minuscoli, impercettibili puntini nello sterminato quadro cosmico? Dite di no? Beh, ai Foxing invece deve essere successo in svariate occasioni, visto che sul tema hanno deciso di scriverci un intero album. Con le dieci tracce di “Draw Down The Moon”, quarta fatica in studio a loro nome, il trio statunitense prova ad avventurarsi nelle inintelligibili vie dell’infinito ma, in un modo o in un altro, approda sempre alla consapevolezza che, in fin dei conti, non c’è nulla di male a essere dei comuni mortali.
Non serve a niente spingersi oltre i confini della realtà se il vero senso della vita è tutto intorno a noi: nelle persone, nelle cose e nei luoghi che amiamo e che riempiono le nostre giornate. Più che un semplice disco, quindi, un sentito omaggio all’incommensurabile valore degli affetti e delle relazioni umane più in generale. Un concetto di un certo spessore ““ anche se trito e ritrito – che i Foxing, da buoni ma ancora confusi esploratori musicali, racchiudono in un sound tanto variegato quanto pomposo.
La band di Conor Murphy, fedele all’idea dietro l’opera, abbandona gli stretti abiti dell’indie rock per allargare il proprio raggio di azione a una galassia di generi e stili diversi, dando vita a contrasti così spettacolari da lasciar sgomenti. Peccato siano solo effetti speciali, del tutto incapaci di aggiungere profondità a un album sovraprodotto, sintetico e “furbetto” nel suo costante scimmiottare consolidati stilemi mainstream.
Non fraintendetemi, però: i Foxing dispongono di molte frecce al loro arco. Creatività e originalità non sono due sconosciute per i tre ragazzi di St. Louis. Vi bastino l’entusiasmante crescendo di “737”, gli hook clamorosi della danzereccia “Bialystok”, la delicatezza folk alla Bon Iver di “At Least We Found The Floor” e l’energia dirompente di “Beacons”, “Where The Lightning Strikes Twice” e “If I Believed In Love” per farvi un’idea delle loro qualità .
Il problema è che, almeno per il momento, manca una chiara e precisa visione del percorso artistico da intraprendere. Restare nel solco dell’alternative, persistere con i richiami ai Foals o giocarsi le proprie carte con l’obiettivo di sfondare i cancelli delle arene, magari diventando una versione “presentabile” degli Imagine Dragons? Per sicurezza, meglio tenere i piedi in tutte le scarpe disponibili.
Photo Credit: Hayden Molinarolo