Il nuovo corso dei CousteauX si arricchisce di un altro capitolo. Ormai metabolizzata la “X” aggiunta al nome tre anni fa, che non li ha resi dei super eroi, Liam McKahey e Davey Ray Moor danno alle stampe “Stray Gods”. Dodici brani di varia natura ed estrazione, farà storcere il naso a qualcuno vedere a pochi minuti di distanza due cover come quelle di “Karen Don’t Be Sad” presa di peso dal periodo più psichedelico di Miley Cyrus e un grande classico come “So Long, Marianne” di Leonard Cohen.
Entrambe accuratamente decostruite e adattate alle corde di McKahey e Moor, che comunque danno il meglio quando si sporcano le mani e propongono numeri tra il Tom Waits più melodico e il Nick Cave meno tenebroso come “Praying for Rain”, “Electrical Storms In Berlin” o “Love The Sinner” col suo sassofono intrigante che si sposa piuttosto bene con la tromba e l’arrangiamento morbidamente jazzato di “Yesterday Eyes”. Un tipo di ballata malinconica e romantica che i primi Cousteau a fine anni novanta padroneggiavano a meraviglia e che oggi McKahey e Moor ripropongono con eleganza.
I fasti di “Cousteau” e “Sirena” appartengono purtroppo ad un’altra era geologica, inutile negarlo, sprazzi di quel pop nostalgico e noir s’intravedono in “When The Bloom Has Left The Rose” e “This Thing Won’t Fly”, uno dei brani migliori del lotto insieme alla trascinante e grintosa “Hush Money”. La chiusura è decisamente intensa, affidata alla dolcissima “In The Meantime” che dimostra come, a conti fatti, “Stray Gods” sia superiore al precedente “CousteauX“. Un buon album che rivela l’animo da crooner di Davey Ray Moor pur non eguagliando il mood introverso e malizioso dei tempi d’oro.