Poter scrivere della fulminea ma elettrizzante parabola degli scozzesi Octopus, autori di un solo album pubblicato prima del prematuro e drastico scioglimento, mi riempie di soddisfazione e al tempo stesso mi lascia un senso di amarezza.
Già , perchè il combo guidato dal talentuoso Marc Shearer, autore principale delle canzoni contenute nel folgorante esordio “From A to B”, pubblicato esattamente venticinque anni fa, aveva tutte le carte in regola, non dico per segnare un’epoca, ma almeno per stare al passo con tanti epigoni britpop, costruendosi così una carriera duratura o, meglio, una propria storia.
Ciò che rimane del loro immenso valore è perciò tutto contenuto qui dentro, non c’è stato più spazio, nè tempo, per immaginare una possibile evoluzione del loro sound e della loro proposta artistica, la quale pur essendo assolutamente rappresentativa del proprio tempo (e quindi in linea con il recupero e il rinnovamento della tradizione musicale inglese che, nel loro caso, dai Beatles passava per i primi Pink Floyd fino ad arrivare a Julian Cope), si mostrava già ricca, matura e personale.
Agli inizi degli anni novanta, i giovanissimi Shearer e il chitarrista Alan McSeveney, compagni di studi e appassionati cultori musicali, decisero di unire le forze, creando una band il cui nome Octopus, tratto da un brano del repertorio solista di Syd Barrett, metteva in evidenza l’amore comune nei confronti dell’ex leader dei Pink Floyd; completavano il primo nucleo della formazione il batterista Bob Holmes e il bassista Steven McSeveney.
Trasferitosi in quel di Londra, e subentrato presto dietro la batteria il francese Oliver Grasset, gli Octopus capirono di aver fatto la scelta giusta per dare uno sbocco al loro progetto ancora in stato embrionale. Un loro demo casalingo, infatti, fu notato da David Francolini, già nei Levitation, che si convinse di avere tra le mani una potenziale next big thing del pop inglese.
Il musicista di chiare origini italiane prese in pratica sotto la propria ala il gruppo, scommettendo su di esso e proponendo in giro le registrazioni grezze di brani, di per sè già a fuoco e con una spiccata personalità , che reclamavano di emergere.
Fu la Food Records di Andy Ross ad aggiudicarseli, consentendo così ai quattro ragazzi di debuttare con un album sulla lunga distanza.
Considerando l’elevato potenziale di quanto ascoltato, Francolini – incaricato della produzione artistica – decise di fare le cose in grande, proponendo al boss dell’etichetta di assoldare dei validi musicisti in studio, al fine di creare degli arrangiamenti che potessero valorizzare nel migliore dei modi quelle deliziose canzoni dall’innegabile gusto melodico.
Furono ben quindici le tracce inserite in “From A to B”, tutte con la firma di Marc Shearer, coadiuvato in più occasioni dal sodale Alan McSeveney e dallo stesso Francolini.
Quelli degli Octopus erano brani apparentemente semplici nel loro candore pop, ma portavano spontaneamente a evocare scenari diversi, forti com’erano di un apparato musicale che non disdegnava derive psichedeliche o affinità elettive con esperienze artistiche in grado di collocare la canzone a forma d’arte: l’allusione è a nomi come i Beach Boys o i già citati Pink Floyd della prima ora.
Lo sforzo in fase di produzione, con l’allargamento del quartetto a vero ensemble comprendente, oltre all’onnipresente Francolini in veste di polistrumentista, anche una sfavillante sezione fiati e un profluvio di tastiere, pianoforte, organo e archi a colorare il tutto, fu davvero notevole, ma ciò portò anche a dei contrattempi considerevoli e a una perdita progressiva di energia.
Il primo a farne le spese fu il bassista Steven McSeveney, che accusò il colpo, decidendo di mollare la band nel bel mezzo delle registrazioni (la sua firma è apposta su meno della metà dei pezzi, per il resto il basso è appannaggio dei musicisti aggiunti Dave Quinn e Robert White); fu sostituito poi in forma ufficiale da Cameron Miller, a disco già ultimato e spedito nei negozi.
Il risultato nell’insieme è sfavillante, e proprio gli arrangiamenti così variegati sembrano dare una marcia in più al disco ma il tutto sarebbe vano se non ci fossero in primis le canzoni. E in tal senso gli Octopus non si risparmiarono, regalando quindici piccoli gioielli e disseminando primizie dalla prima all’ultima traccia.
Già , non ci sono riempitivi, nè cadute di tono all’interno del debut-album dei ragazzi della piccola cittadina di Shotts, anzi, a riascoltarlo ancora oggi, tutto d’un fiato, pare di essersi imbattuti in un greatest hits.
Furono quattro i singoli lanciati in orbita nell’affollato mercato discografico inglese del tardo 1996 (nell’ordine “Magazine”, “Your Smile”, “Saved” e “Jealousy”), tutti dall’elevato appeal commerciale, seppure nessuno di questi titoli sia ricorso a facili escamotage o ammiccamenti col grande pubblico.
“Your Smile”, posta in cima alla scaletta, e corredata da un videoclip simpatico e struggente al tempo stesso, mostra il primo debito di riconoscenza nei confronti del nume tutelare Syd Barrett, mentre “Magazine”, caratterizzata da un ritmo più incalzante, potrebbe essere stata scritta dai Blur di “Modern Life Is Rubbish”; “Jealousy” ti sommerge con i suoi colori e suoni, coinvolgendo e inducendo al ballo, ma nasconde in realtà un testo tra i più personali di Shearer.
Infine, tra i singoli citati, la malinconica ed eterea “Saved”, che è poi quello che maggiormente si era affacciato, seppur timidamente, nella Top 100 dei singoli inglesi, attestandosi in quarantesima posizione, ma dando l’idea che gli Octopus fossero sul punto di “farcela”, visti i tanti passaggi dell’elegante e suggestivo video in bianco e nero e l’esperienza in tour condivisa con nomi in piena ascesa come gli Sleeper, al cui cospetto di certo non sfiguravano.
All’interno di una tracklist impeccabile passano in rassegna, lasciando il segno, anche l’evocativa canzone omonima, languida e soffusa, la pimpante e giocosa “Everyday Kiss”, dove si dimostra vincente il connubio tra i fiati e le tastiere, la ballata dai toni onirici ” Night Song”, lo strumentale pianistico “Untitled 1” , i bucolici ventuno secondi di “Untitled 2” e la commovente “King for a Day” (che con parole poetiche e un sound carezzevole fa da contraltare alla roboante “Rock ‘n’ Roll Star” degli Oasis, sfruttandone a suo modo il topos letterario).
E che dire della trionfale marcia pop rock dell’innodica “If You Want to Give Me More” (inglese fino al midollo!) e della splendida “Adrenalina”? Quest’ultima a mio avviso è una delle più belle canzoni britpop di sempre, e i Nostri avrebbero potuto sfruttarla decisamente meglio.
Anche se poi, occorre dirlo, probabilmente non tutto dipendeva da loro, in fondo erano alle prime armi nel mondo dello spettacolo, e forse la responsabilità di una mancata affermazione la si deve più a delle lacune della casa discografica in fase promozionale.
Magari invece l’ingranaggio si era inceppato prima del tempo, smorzando l’entusiasmo del gruppo, precocemente disilluso e al contempo scoraggiato dagli scarsi esiti di un lavoro, cui avevano dedicato anima e corpo e profuso il massimo dell’impegno.
Non sapremo mai, in fondo, quale sia stato l’elemento scatenante alla base di uno scioglimento tanto inatteso quanto, purtroppo, definitivo; fatto sta che dal 1997 le notizie sugli Octopus e sull’attività musicale postuma dei vari componenti si sono diradate sempre più, tanto da far finire presto questo nome nel dimenticatoio, ricordato forse solo dagli amanti più fanatici del britpop anni novanta.
Sono rimaste poche tracce anche di un curioso gossip che li ha accompagnati nel periodo immediatamente successivo alla fine del sodalizio, secondo cui alla base di quella drastica decisione ci fu un sonoro litigio tra Marc Shearer e Alan McSeveney per motivi di gelosia (per caso il singolo “Jealousy” fu in qualche modo premonitore?) nei confronti della fascinosa Kelli Ali, cantante degli Sneaker Pimps, la quale più o meno nello stesso periodo fu inspiegabilmente allontanata dalla sua band.
Arrivando all’attualità , quello che sappiamo per certo dalle poche note biografiche reperibili è che, al di là di estemporanee quanto poco rilevanti altre esperienze in ambito indie, il batterista Oliver Grasset è tornato a vivere in Francia, dedicandosi per lo più alla musica sperimentale elettronica, mentre i due fondatori hanno abbandonato del tutto le scene, con Shearer divenuto un docente di storia e letteratura inglese e Alan McSeveney un ingegnere informatico che da anni opera a New York.
Vuoi vedere che la verità era forse più semplice di quanto sembrasse, con i nostri protagonisti che hanno consapevolmente preferito seguire le proprie inclinazioni, relegando la musica a una mera passione giovanile?
Quel che conta è che, a distanza di venticinque anni tondi, mi sembrava doveroso omaggiare il disco di un gruppo che ha illuminato i nostri cuori, brillando nel cielo, seppure solo per una breve e intensa stagione… proprio come fanno le meteore.
Octopus ““ From A to B
Data di pubblicazione: 30 settembre 1996
Tracce: 15
Lunghezza: 51:37
Etichetta: Food Records
Produttore: David Francolini
Tracklist
1. Your Smile
2. Everyday Kiss
3. If You Want to Give Me More
4. King for a Day
5. Adrenalina
6. Untitled 1
7. Jealousy
8. Magazine
9. From A to B
10. Untitled 2
11. Saved
12. Wait and See
13. Theme from Joy Pop
14. Night Song
15. In This World