Negli anni ’90 i Saint Etienne (inglesi fino al midollo a discapito del nome che prende spunto dall’omonima squadra di calcio della città francese) avevano stuzzicato la fantasia di molta critica e riscontrato l’interesse di tanti ascoltatori, non distratti dalle correnti musicali più in auge al periodo.
In effetti al trio capitanato dall’eterea voce di Sarah Cracknell (e completato da Bob Stanley e Pete Wiggs) è bastato poco per salire agli onori della cronaca e ritagliarsi un meritato posto al sole nell’affollato mercato discografico locale: sin dall’album di debutto infatti la loro proposta appariva un felicissimo ibrido di varie istanze artistiche e relative suggestioni musicali, che potevano trarre linfa e ispirazione dal contemporaneo trip hop (allora in forte espansione), così come da esperienze più imparentate con certa raffinata dance.
Che i Nostri fossero capaci di maneggiare la materia pop, macro mondo di riferimento con cui potremmo riassumere una parabola che si è protratta continuativamente fino a metà degli anni zero, fu subito evidente; così come è giusto riconoscergli uno stilema unico nel suo genere – per quel periodo -, corrispondente cioè a utilizzare sapientemente dei samples, disseminati in maniera copiosa tra le pieghe delle loro rassicuranti e deliziose canzoni.
Inconsapevolmente cool, i Saint Etienne in realtà se ne sono sempre fregati delle mode e delle tendenze, continuando imperterriti un percorso sul cui valore intrinseco pochi avevano da eccepire, a partire dai colleghi musicisti con cui la band in più occasioni si trovò a collaborare, sconfinando anche nel territorio delle colonne sonore, che a ben pensarci nel loro caso rappresentavano un approdo sicuro, considerata la componente evocativa e suggestiva della musica prodotta.
Dopo una pausa discografica di quattro anni dal precedente “Home Counties”, una certa curiosità si era fatta largo nei confronti del nuovo disco, intitolato “I’ve Been Trying to Tell You”, anche per capire se il trio sarebbe stato in grado di stare al passo coi tempi, o al contrario “schiavo” del proprio passato e dei tanti rimandi associati.
Ascoltando le otto nuove tracce ci si trova in una bolla spazio-temporale, non perchè i Saint Etienne abbiano puntato meramente sull’effetto nostalgia, omaggiando quei favolosi nineties che li avevano visti tra i protagonisti, ma proprio perchè ciò che ci arriva alle orecchie sono canzoni la cui matrice è cristallizzata in quel periodo.
Non c’è stata una vera evoluzione nel frattempo, cosicchè questi brani potrebbero anche essere rimasti nel cassetto per venticinque-trent’anni e riesumati solo ora per dare nuovo lustro alla band.
Sappiamo bene che non è così e che il lavoro è frutto di un progetto e di nuove sessioni, ma chiudendo gli occhi e ascoltando brani come l’apripista “Music Again” (con i suoi tratti ipnotici) e una “Pond House” che fa riecheggiare un brano minore (ma di gran pregio) della starlette del tempo che fu, Natalie Imbruglia, ci si ritrova magicamente in quegli anni, come se il mondo si fosse fermato.
Sono canzoni certamente soffuse, sinuose e ben fatte, che navigano dalle parti di un dream pop dal buon appeal commerciale, ma che nulla aggiungono alla creatività sonora del gruppo.
Certo, i ritmi si alzano poi leggermente lungo il cammino, regalando in ogni caso rari sprazzi di vivacità ; un primo tentativo in tal senso lo si avverte con la bristoliana “Fonteyn”, ma in genere si rimane sul campo della ballad onirica sulla quale introiettare le giuste dosi di elettronica.
Troppo poco dal mio punto di vista per lasciare il segno, fermo restando la piacevolezza all’ascolto nell’insieme, e di episodi carezzevoli come “Penlop” e “Little K” nello specifico.
Al di là della genuina contentezza nell’aver ritrovato in piena salute una band che tanto ho ascoltato in gioventù – e che non ha smarrito qualità come l’eleganza e la raffinatezza – devo ammettere che questo ritorno mi ha lasciato un po’ l’amaro in bocca.
Quando al termine di vari ascolti approfonditi, infatti, preferisci spararti una raccolta di canzoni del gruppo, consapevole che nessuna di queste nuove finirà in un futuro best of, significa che, almeno per il sottoscritto, la prova non è stata superata: fossimo a scuola si direbbe che i ragazzi hanno i mezzi per fare molto di più.