Si apre con una risata sprezzante l’album di debutto di Joe Cardamone degli Icarus Line e Mark Lanegan, che torna per l’occasione a vestire i panni di Dark Mark mentre Cardamone si trasforma in Skeleton Joe per un tuffo nell’elettronica più marcia e distorta. Molto horror e Carpenter hanno ispirato l’ora abbondante di questo primo disco in coppia, figlio di un rapporto di stima reciproca che dura dai tempi di “Bubblegum”.
Ci sono due modi per ascoltare “Dark Mark vs Skeleton Joe”: prenderlo sul serio o andare a cercare i momenti di humor nero che punteggiano brani ora grintosi (“Living Dead”, “Sanctified”, “Turning In Reverse”) ora rallentati al limite del catatonico. Immancabili i sintetizzatori che sostengono la voce di un Lanegan che si sbizzarrisce passando dal tono cattivo e sardonico a una dolcezza intima che spicca tra fantasmi, momenti d’introspezione e perdita.
“No Justice” e “Lost Animals” sembrano il capitolo mancante di “Sing Backwards and Weep”, la rutilante autobiografia di cui tanto si è parlato con il dovuto corollario di polemiche, mentre “Hiraeth”, “Lay Me Down”, “Burned”, “Crime” in odor di Tom Waits e “Traction” inaugurano un’atmosfera tra gospel e blues con arrangiamenti minimali. Brani che arricchiscono la già ben fornita galleria di peccatori, perdenti, criminali dipinta da Mark l’oscuro ed è questa la parte del disco più convincente.
Citiamo per completezza anche “Red Morning Sun”, “Sunday Night 230 AM” e il recital finale “Basement Door” in cui ritroviamo un Lanegan biblico e ormai redento, libero dai demoni ma solo per cinque ariosi minuti. Mette molta carne al fuoco “Dark Mark vs Skeleton Joe” persino troppa a volte (tipo i dodici minuti di “Skeleton Joe Manifesto”) perdendo incisività e compattezza tra ritmi diventano ripetitivi, dilatati come sono in un’ora e quindici minuti. Non certo un brutto album ma un ascolto impegnativo, da bourbon più che da dancefloor.
Credit foto: Olivia Jaffe