è di nuovo venerdì e seguendo la traiettoria del volo di un moscone – dal ronzio più emozionante di tante cose sentite ultimamente – ho percepito l’esigenza, da parte dell’Universo, di sapere (anche) la mia sulle ultime pubblicazioni musicali del Belpaese; è per questo che, signore e signori, ho deciso di comunicare urbi et orbi il mio bollettino del giorno sulle nuove uscite del pop italiano. Sì, quel tragico, ribollente pentolone traboccante degli sguardi impietosi di chi dice che la musica nostrana fa schifo, di chi “parti Afterhours, finisci XFactor“, di “Iosonouncane meno male che esisti“, di “Niccolò Contessa ma quando ritorni“, di Vans, libri citati mai letti e film repostati mai visti che ogni venerdì rinfoltisce la sua schiera di capipopolo di cuori infranti con una nuova kermesse di offerte per tutti i gusti e i disgusti. Ecco, di questo calderone faccio parte come il sedano del soffritto, quindi non prendete come un j’accuse quello che avete letto finora: è solo un mea culpa consapevole ed autoironico – ridiamoci su! che una risata ci seppellirà , per fortuna, prima o poi – a preparare lo sfortunato lettore alla breve somma di vaneggi e presuntosi giudizi che darò qui di seguito, quando vi parlerò delle mie tre uscite preferite del weekend, e della mia delusione di questo venerdì. Sperando di non infastidire nessuno, o forse sì.
SPECIALE GREEN SELECTION
MARSALI, La versione migliore di noi
Marsali è un nome che sa di casa, e vuoi o non vuoi la sensazione di essere tornati dove volevamo stare (qualunque posto sia) la avvertiamo un po’ tutti sin dal primo ascolto de “La versione migliore di noi”. Non so il perchè, ma la cantautrice ha qualcosa nel suo modo di vedere e raccontare le cose che sa di “senza tempo”, come uno scoglio che resiste alla macina della marea e all’usura della moda. Il brano, in un certo senso, sembra dire proprio questo: i desideri non invecchiano (quasi mai) con l’età , come direbbe qualcuno, e cantare con eleganza i giorni che passano (e gli amori che restano) è affare di pochi – figurati se all’esordio. Rebecca fa parte di questa sparuta, eletta schiera.
DAVIDE BOSI, Emily
Eddai, e che gli vuoi dire ad uno come Bosi? Uno che, insomma, quelle sei corde le fa piangere e godere allo stesso tempo ad ogni tocco, che con la voce gioca il gioco proibito del funambolo, sempre in punta di piedi tra la caduta e lo slancio verso il cielo? “Emily” è una carezza che sa di spinta verso il nero, con quel velo di malinconia che solo chi ha il blues nelle vene può stendere sulle cose. Il tutto, registrato in “live” per la nuova realtà ligure di La Jungla Factory (no, non è l’ennesima etichetta discografica; al più, assomiglia ad una comune artistica decisamente “anni Settanta”). Insomma, operazione nostalgia riuscita, e chissà che questa non torni ad essere la strada maestra.
CANARIE, Immaginari (album)
Trova finalmente la sua definitiva compiutezza “Immaginari”, il nuovo disco diviso in due parti di Canarie, che si confermano sempre più essere il mio gruppo preferito di sempre. Quantomeno, degli ultimi dieci anni. Un giro di giostra che assicura l’ebrezza del gusto e della qualità a chiunque oggi cerchi il modo per non affogare nel marasma di mediocrità discografica; una via di fuga all’anonimato del nostro tempo attraverso la cruna sottile di un ago che scuce e ricuce nuovi sogni sulla pelle, con l’eleganza dei grandi. Quali, a mio parere, sono i Canarie. Candidato a mio, personalissimo, “Disco del 2021”.
MALCOLM, Un amico mi ha detto
Folk d’autore e una buona dose di nostalgia a far da corredo ad un testo che sembra unire con alchimia riuscita la canzone italiana (tipica della prima scena indipendente, Zen Circus su tutti) alle sonorità del britpop. La penna si fa notare, e aiuta l’ascoltatore ad immergersi in una dimensione che, in fondo, sembra appartenere a tutti. Bel pezzo.
MARTA FABRIZI, Numero Uno (album)
Esordisce oggi anche Marta Fabrizi, e lo fa con un EP che continua sul solco tracciato dalla tradizione jazzy italiana con uno stile che ammicca all’urban senza perdere il piglio swing; “Numero Uno” pare essere l’incontro tanto atteso tra Neffa e Pino Daniele, sarà per le liriche e le metriche accattivanti e capaci di alleggerire il cuore, senza pretese nè effetti speciali rocamboleschi.
SEBASTIANO PAGLIUCA, Aspetterò
Che tiro, Pagliuca! Ricorda un po’ Appino nel modo di porsi al cantato, oltre che nella scrittura infiammata del testo. Allo stesso tempo, le linee e l’andamento della produzione non possono che ammiccare ad oltralpe, con un certo tipo di interesse malcelato per il britpop. Insomma, un’alchimia utile a scagionare Pagliuca da qualsiasi forma di nazionalismo e ad aprirne gli orizzonti ben oltre i confini, nella speranza di vederlo presto volare.
FRANCESCO SAVINI, Gatto di Schrodinger
Ora che ci siamo anche conosciuti (telefonicamente, ma vale lo stesso!), parlare bene di Savini mi fa ancora più piacere. Lui ha capito che io lo apprezzo, io ho capito di non dover sembrare l’ennesimo stalker musicale: fatto sta che Francesco ha il super potere di non sbagliare un colpo, rinnovando ad ogni nuova uscita il patto di sangue stipulato all’esordio tra lui e la Hit. Sì, quella divinità pagana che tutti gli emergenti inseguono, che in pochi raggiungono. Tra questi, Savini.
SENNA, Roulette russa
I Senna sembrano avere ormai scelto la propria via, attraverso una sinergia delicata tra canzone d’autore italiana (poca, ma giusta) e tanto folk di stampo esterofilo, che guarda un po’ ai Kings Of Convenience, un po’ a Bon Iver. Il risultato è un brano che sta in piedi ancora una volta, anche se il rischio, forse, è abusare un po’ troppo del tracciato vincente di una modalità ormai individuata e, di conseguenza, potenzialmente prevedibile. Detto questo, il brano non mi dispiace affatto, quindi anche sticazzi. Me lo dico da solo.
TOMMASO LA NOTTE, Una poesia di Montale
Di Tommaso ho avuto modo di parlare giusto qualche settimana fa, parlandone come di un talento che doveva ancora aprire le ali e spalancarsi al volo, senza paura di “uccidere” maestri che rischiano di farsi, col tempo, ingombranti. Qui, il livello di referenzialità si alza, scomodando addirittura il Poeta in una ballad ad alta intensità emotiva, che mescola Brunori a Fulminacci, Montale a Calcutta. Il testo, come sempre, è ben scritto; quella sensazione, però, di auto-sabotaggio di sè stesso permane e mi fa dire “ach“. Appuntamento al prossimo giro.
OMAR, Luna Piena
Oh, non conoscevo la musica di Omar, e mi sono subito innamorato. Sarà quella linea melodica che mi sa tanto di oltralpe, sarà perchè ho la passione per ciò che strugge e si sente che Omar si è strutta (si dice così?) eccome scrivendo “Luna Piena”. La voce, poi, fa la sua parte se non di più. Bel pezzo, con qualche retrogusto Disney niente male.
NON GIOVANNI, Milano
Chissà se Non Giovanni si ricorda di me, e di quella volta che – era il 2016? – fuori da un locale del levante ligure mi ha dato 33 anni (e io ne avevo esattamente tredici di meno). Insomma, aspettavo questo ritorno da tempo, sono di parte con Giovanni quindi consiglio solo di ascoltare “Milano”. Tutto il resto, dire altro, sarebbe superfluo. Un po’ come succede con quelli bravi davvero. Tipo Non Giovanni.
L’EDERA, Buchi neri
Torna anche L’Edera che riscopre per l’occasione la scena indipendente dei primi duemila e la porta avanti di ventun anni, scoprendosi così decisamente in timing con il presente. Un po’ di Zen Circus, un po’ di Vasco Brondi, un pizzico di Lo Stato Sociale e tanta, solita determinazione nella scrittura di un testo che possa dire davvero qualcosa. Produzione minimale, con poche cose giuste, anche se sul mixing forse ci sarebbe stato qualcosa da rivedere. Magari non sarà il mio pezzo del cuore de L’Edera, ma mi piace assai lo stesso. Less is more.
DAVIDE DI ROSOLINI, Il tossico sincero
E’ tornato Il Fenomeno, uno dei pochi artisti che il panorama offre (o meglio, che ha deciso di offrirsi al panorama, facendo un regalo a tutti) capace di trasformare una cassa di carote in un forziere di ricchezze. Trucco da illusionista? Forse. Sicuramente, da grande performer. E che Davide Di Rosolini sia un grande performer, lo capisci dal fatto che è uno dei pochi che, attraverso le cuffie, ascoltando il suo nuovo singolo (che chiamarlo così è un affronto al sabotaggio discografico che Davide ha inaugurato anni fa), ti fa sentire seduto in platea, con la verità del live.
PARRELLE, L.E.D., mifacciomaleok
Ok, sono ufficialmente vecchio. Certe cose non le capisco, non mi arrivano, non lo so. Il fatto è che la storia è una macina che non aspetta, e passa sopra a chi non sa inseguirla. E c’è un dato di fatto: nel ricambio generazionale, è facile passare da “boomer” se non hai la forza intellettuale di farti fluido, scorrere come l’acqua e passare sotto ponti che non avresti previsto. Ecco, io sono rigido come un palo nel culetto, ma non posso comunque non ammettere che “‘ste cose della Gen Z sono fatte in un modo che sa di identità , di forza generazionale. E forse, proprio per questo me ne sento escluso. W la Gioventù, abbasso i boomer reazionari come me.
MUNENDO, Zanzare
Mi vengono in mente, non so perchè, i Perturbazione appena premo play sul nuovo singolo di Munendo. E sia chiaro, è un gran bel complimento, il mio. Ottimo ritorno per il cantautore, che mescola riferimenti pop e una certa attitudine per il rock’n’roll, nel tentativo riuscito di un’alchimia che sta in piedi senza fatica. E rimane in testa, facendoti morire dalla simpatia (amara).
KALDOREI, Atlantide sommersa
Delicatezza al servizio della forza interiore, nel nuovo singolo di Kaldorei, che si mette a nudo con una confessione a denti stretti che sa di terapia. Tra le rime di “Atlantide Sommersa” si nascondono mondi diversi, che affondano le radici nell’autobiografia dell’autore per allargarsi alla riflessione amorosa e alla dedica che lascia il segno; c’è qualcosa di Ultimo, del nuovo pop in generale in Kaldorei. Però, a differenza di tanti “grandi”, qui si sente che il brano è urgente e sincero.
OLITA, Tregua
Particolare, il nuovo singolo di Olita, carica di dinamite che consuma la lunghezza della miccia nei tre minuti di un brano che “monta”, e monta bene: c’è del rock’n’roll, in “Tregua”, e dei riffoni che ammiccano palesemente agli anni Settanta. Il testo non è niente male, e le strofe aiutano a disegnare un saliscendi di sensazioni che ricordano, a tratti, i primissimi Litfiba. Non male.
TURCHESE, Straniera
Buon ritorno anche per Turchese, che dopo l’esordio di qualche tempo fa torna a far sentire la sua voce alla scena pop nazionale con “Straniera”, brano che richiama a modelli pop che spaziano da Paradiso a Lucio Corsi – insomma, estremi opposti che trovano nella soluzione di Turchese l’alchimia giusta per far convivere “pop” e “d’autore”.
COMECARBONE, La cattedrale di Notre Dame
Ditemi che, premendo play sul nuovo singolo di Comecarbone, quelle chitarracce belle spianate non vi fanno venire in mente David Bowie. Ditemi, poi, che proseguendo nell’ascolto non emergono dalla memoria le cose belle di quella prima scena indipendente che vale, e che ha fatto sognare un po’ tutti. Ditemi, infine, che il ritornello non ricorda i Baustelle e la voce oracolare di Bianconi. Insomma, Comecarbone fonde estremi diversi in una soluzione riuscita che sa di incendio.