No, il mondo non è un bel posto. E un po’ di paura di morire è giusto averla, soprattutto nel pieno di una pandemia. E allora diciamolo pure: i The World Is a Beautiful Place & I Am No Longer Afraid to Die non hanno scelto un buon periodo per tornare a produrre nuova musica. Eppure eccoli qua, quattro anni dopo l’uscita del convincente “Always Foreign”, con un album pregno di idee fresche e coraggiose che è stato intitolato come i passaggi segreti del primo “Dark Souls”, un videogame così difficile da aver fatto bestemmiare anche i giocatori più pii.
Non mi aspetto troppe imprecazioni da parte di coloro che decideranno di ascoltare questo “Illusory Walls”. Ma qualche invettiva contro l’Altissimo potrebbe benissimo sfuggire dalla bocca dei più impazienti, considerando il fatto che stiamo parlando di un’opera che si trascina per la bellezza di settanta minuti. Dico si trascina perchè, come accade assai spesso nel caso di lavori di simile durata, a tratti si ha la netta impressione che la band avrebbe ottenuto molto di più ponendo un freno alla propria creatività , magari tagliando il superfluo e dando il giusto risalto al materiale più incisivo.
E invece i The World Is a Beautiful Place & I Am No Longer Afraid hanno preferito puntare forte sulle atmosfere, confezionando un album sicuramente dal grande fascino ma il più delle volte impalpabile, pieno com’è di fronzoli più o meno utili buttati lì tanto per allungare il brodo. La qualità c’è ““ e sarei un pazzo a dire il contrario ““ ma la sostanza, purtroppo, è davvero poca. E spesso è schiacciata sotto quintali di trovate pretenziose che nulla aggiungono a un disco che, come già detto, in versione “alleggerita” sarebbe stato di gran lunga migliore.
Il connubio tra emo e progressive rock funziona a dovere nei brani più epici e intensi. Le fitte trame chitarristiche di David Bello e Chris Teti, coadiuvate dalle tastiere di Katie Dvorak, creano paesaggi sonori di grande suggestione che evolvono e mutano seguendo gli umori dei vocalist (Bello e Dvorak), il più delle volte tendenti al cupo.
Il quintetto del Connecticut può pestare pesante (“Invading the World of the Guilty as a Spirit of Vengeance” è praticamente un pezzo metal), accarezzare con dolci melodie malinconiche (le gemelle “Blank // Drone” e “Blank // Worker”) ma anche trovare vie di mezzo, ottenendo peraltro risultati più che positivi (“Afraid to Die”, “Queen Sophie for President” e “Trouble”, una bella canzone alla Failure).
Fin qui, tutto bene. Alla fine, però, ce li perdiamo: i quindici minuti di “Infinite Josh” e i quasi venti di “Fewer Afraid” includono diversi momenti interessanti ma, francamente, risultano poco digeribili; l’attenzione dopo un po’ cala e si perde il filo del discorso. Per carità , non ho assolutamente nulla contro le tracce che si prolungano nel tempo ““ ma bisogna saperle “costruire”, più che scrivere. E qui i The World Is a Beautiful Place & I Am No Longer Afraid to Die hanno fatto il passo più lungo della gamba. Il consiglio? Più concisione e meno grandeur. Ma da un gruppo con un nome del genere, ce la possiamo attendere?