Tra le note di “Brighten” si respira un sensazione benefica, curativa e, soprattutto, necessaria perchè lungi dall’essere scontato, il buon Jerry confeziona un bella tracklist inaugurata dal singolo apripista “Atone”, un graffiante southern rock su base acustica che probabilmente è l’unico brano che ben potrebbe essere incluso in qualche playlist degli AIC.
Il resto degli episodi, infatti, per poco più di quaranta minuti, sono incentrati sulle sonorità che sconfinano nel classic rock influenzato da un forte matrice folk, blues e country tuttavia mai prevedibile.
La successiva title track, ad esempio, si mostra orientata verso un rock lineare, equilibrato ed a tratti giocoso con le sezioni di hammond che duettano con la seconda voce affidata a Greg Puciato, ex frontman dei Dillinger Escape Plan nonchè Black Queen e Killer Be Killed.
Co-prodotto con il compositore e discografico Tyler Bates (Bush, Marylin Manson) e con Paul Fig e mixato da Joe Barresi (Tool, Queens of the Stone Age, Bad Religion, Melvins), in “Brighten” Jerry si è circondato di un bel gruppetto di amici musicisti – tra cui, oltre al citato Puciato, Duff McKagan, storico bassista dei Guns n’ Roses, i batteristi Gil Sharone e Abe Laboriel Jr., Michael Rozon (pedal steel), Jordan Lewis (pianoforte), Matias Ambrogi-Torres (archi), Vincent Jones (wurlitzer e hammond) e Lola Bates (cori) – che hanno contributo con la loro esperienza e strumentazione aggiuntiva ad arricchire questo secondo lavoro da solista, con risultati di assoluto valore come nel trittico composto dalle note rock di “Had To Know” oppure dai toni variegati di “Nobody Breaks You” piuttosto che nel country-rock di “Dismembered”.
Ma è di sicuro la prima parte dell’album a lasciarsi preferire soprattutto nel momento in cui la citata “Brighten”, apre la scena ad un altro meraviglioso trittico dal quale trasuda maggiormente quel senso di serenità ed appagamento raggiunto da Jerry, che si mostra dapprima con la freschezza di “Prism of Doubt” per poi concedersi alla corposa e ruvida melodia che fuoriesce dal secondo singolo “Siren Song”, dotata di un inizio acustico che trasmuta in segmenti di riff distorti. Ma è con “Black Hearts and Evil Done” che il disco probabilmente raggiunge il suo apice, una ballata folk acustica di sei minuti che risuona come un inno di speranza nel cambiamento “Fuori le vecchie cose dentro le nuove/Voglio costruire qualcosa, qualcosa di vivo/…/Voglio sentire qualcosa, qualcosa di vivo”.
I quasi due minuti di “Goodbye”, cover di Elton John contenuta in fondo al suo “Madman Across the Water” del 1971, hanno il compito di calare il sipario su “Brighten”, un album sincero ed autentico dove Cantrell mostra tutto il suo inconfondibile e indubbio stile.