Una pruriginosa irrequietezza si insinua alle prese con questo “Lonely Guest” nel sapere che dietro questo pseudonimo si nasconde la prolifica mente di uno dei maggiori interpreti della musica moderna degli ultimi 30 anni, quel Tricky che all’inizio della sua carriera fece uscire una simile operazione sotto il nome di “Nearly God”, beninteso una pietra miliare nascosta degli anni ’90.
Anche qui la tecnica è quella di chiamare a raccolta una serie di voci amiche attorno ad un un progetto pilota dove la figura del carismatico autore di Knowle West funziona da pigmalione produttore, sottraendosi anche dal punto di vista mediatico, si desume nelle brevi note che accompagnano il disco, nel ricondurre “Lonely Guest” ad una nuova sua opera.
In realtà , basta un niente per capire come siamo totalmente dentro il mondo di Tricky, che in stato evidentemente di fervida produttività da lockdown ha cercato di dispensare questi bozzetti declinandoli a favore dell’attinenza canora degli amici interessati, componendo una raccolta eterogenea, all’intero della quale si riconoscono tutti gli elementi del suo repertorio, dalle rapide e quasi ballabili sferzate rock di “Move me” e “Pre war tension”, alle ballate oscure come la titletrack fino allo sperimentalismo di “Atmosphere”, per passare ad un tocco di tribalismo come su “On a more”.
Ciò che ancora una volta rende queste canzoni assolutamente intriganti è l’esatta coincisione fra la componente musicale e l’aderenza al mood voluto e cercato dall’ex Massive Attack, un feeling quasi sempre oscuro e dolente, figlio della notte e di un approccio fisico alla vita che porta queste canzoni a calarsi nel dolore (splendida “Pipe dreams”) o “Big Bang Blues”, con queste voci, in primis quella di Marta sua musa attuale, dal timbro caldo e sofferto, in grado di dare un contributo unico e pregnante alla confezione dei brani. Di fatto, si tratta di composizioni decisamente minimali, con una strumentazione di base ridotta all’osso, un ritmo super basico, qualche riff, a volte un violino carico di emotività , insomma un approccio che ricalca da sempre il modus operandi di Tricky, il che a volte nella sua recente produzione non rendeva giustizia, anche per demeriti propri, a diversi album, che lasciavano spesso l’amaro in bocca od un rimorso per qualcosa che avrebbe potuto essere.
Certo, anche qui si vorrebbe che certi momenti continuassero di più, l’avvolgente e dolce “Under” o la scura e inquietante “Atmosphere” con una delle ultime apparizioni di Lee Scratch Perry in un pezzo memorabile dove si incrociano voci messianiche e sperimentalismo dal blues primordiale degno di “Pre millennium tension”; di fatto le canzoni sono dei succinti riquadri, ognuno dei quali contiene in piccole dosi tutto il background misterioso e magnetico del genietto inglese, ma il plus sta nel dinamismo di un’operazione come “Lonely Guest” dato dall’alternanza degli artisti, che seppur di provenienza apparentemente lontana (ad esempio Joe Talbot cantante degli Idles), riescono a comporre un caleidoscopio vibrante, un insieme di brani indipendenti e allo stesso tempo inseparabilmente legati, come se si potesse scegliere senza ferire di prenderlo a caso, quest’album, senza inizio e senza fine; che poi, va a capire a volte cosa serve tutta questa voglia di pienezza, quando il pieno è già nell’impasto di queste voci con questi suoni scarni, al solito profondi, un distillato di emozioni, con momenti così intensi e forti che le canzoni acquistano subito il potere del ricordo che è essenziale, difficile da smaltire, ma sintomo di potenza espressiva, che supera la mancanza di un senso di inizio e fine, come se le emozioni dovessero avere capo e coda.
Al solito, la speranza è che il ragazzo di “Maxinqyuaye” continui così, che non ci lasci per tanto tempo senza questo talento, anche se non pienamente espresso, perchè è evidente che qui forse manca un pò di orpello, qualche solidità maggiore negli arrangiamenti, ma si ha come la sensazione forse effimera, forse già sperimentata altre volte, che questa volta la riconoscenza altrui così limpida e riuscita porterà a qualcosa di ancora più buono e fortunato.
Fortunato lui, fortunati noi.