Quando Ian Devaney e Aidan Noell si sposarono avevano un piano da realizzare. Non uno di quei progetti che la maggior parte delle coppie si prefigge di concretizzare. Ian e Aidan accarezzavano un piccolo desiderio, coltivavano l’ambizione più nobile e ambito per un musicista: incidere le proprie canzoni.
Naturalmente il sogno si è realizzato grazie al gruzzolo accumulato nel grande giorno grazie alla generosità degli invitati, che invece di una lavatrice o di un weekend in montagna, hanno contribuito alla produzione del primo album del trio newyorchese, quel “Introduction, Presence” che nel Maggio 2020 segnò il debutto del Nation of Language. L’album fu molto apprezzato e l’influenza di band come Joy Division, New Order e Kraftwerk non fu di certo poco menzionata nelle recensioni del periodo.
Ian non nasconde il proprio amore per la musica elettronica menzionando il brano degli OMD “Electricity” che ascoltò trasmesso dalla radio mentre da ragazzo era in viaggio con il padre. L’incontro con Aiden avvenne nel 2018 a Kansas City mentre Ian era in tour con la sua post-punk band a supporto dei Wombats.
Aiden, anima femminile, da vita ad ogni brano della band con le tastiere e i suoni campionati del suo synth. Ian è la voce principale, romantica, dolce, a tratti acuta e accompagna con la chitarra. Ai due si unisce un bassista davvero tosto, Michael Sui-Poi, capace di mantenere e scandire il ritmo con precisione e abilità da intimidire la batteria campionata.
“A Way Forward”, ce lo dice già il titolo, è un album che rimane nel solco del suo predecessore, le influenze rimangono, ci troviamo a nostro agio in queste atmosfere, ma non possiamo non notare un vero salto in avanti. La produzione è eccelsa, i suoni e le voci sono chiari, limpidi, palpabili. Un album non facile, diciamolo subito. Va assorbito con quell’attenzione che si riserva alle opere importanti o, come chi se ne intende, assaggiando un buon bicchiere d vino.
Prendiamo “Across That Fine Line”, la linea di basso che nei versi ha quella cadenza sincopata che inganna, un ritornello classico e malinconico che sfuma nel finale. C’è pure un passaggio di chitarra che si appoggia al tappeto synth, strumento che scorazza a suo piacimento per tutto il brano.
“The Grey commute”, è un brano ballabilissimo, melodia azzeccatissima, il testo invece nasconde tristi insidie nello stupendo e struggente ritornello “…Broken hands, Praying to see if there’s someone to remove..”
Ci sono momenti più cupi, come l’opener “Manahattan”, un brano che si avvolge intorno ad un susseguirsi frenetico di note che creano ansietà e angoscia ma come non pensare a Morten Harket e ai suoi a-ha ascoltando “Whatever You Want” o non restare stupiti dalla semplicità di “Former Self”?
Perdersi tra le note di “This Fractured Mind” e di “Wounds of Love” potrebbe essere un’esperienza piacevole sorvolando sui testi che in queste dieci canzoni sono un percorso di ricerca, esperienze di vita, il rincorrere desideri e il fuggire da una realtà disincantata.
Affonda le sue radici negli anni 70, trova linfa e si scalda con le sonorità degli anni 80 ma “A Way Forward” è un album estremamente moderno. Se “Autobhan”, nel 1974, fu un disco che cambiò la storia e le coordinate della musica, quello dei ragazzi di Brooklyn ha sicuramente meno pretese ma in punta di piedi e molto timidamente lo possiamo considerare tra i più interessanti dell’anno.