Daniel Monzon (già autore, tra le altre cose, del capolavoro “Celda 211”, che immagino conosciate e adoriate in molti pur non associandolo direttamente ad un nome) ha adattato per il grande schermo il romanzo di formazione omonimo di Javier Cercas, un testo davvero molto noto in patria.
Il risultato è assolutamente imperdibile per chiunque ami un certo tipo di ricostruzioni di un contesto storico (in questo caso il finire degli anni ’70), un realismo colorito e romanzato, la sensualità della frontiera e una buona dose di violenza.
Il film riprende estetica e toni del “cinema quinqui” (corrente cinematografica spagnola in voga tra gli anni ’70 e gli anni ’80 che segue le vicende criminose dei quinqui, ossia piccoli criminali di etnia non gitana che vivono di espedienti) e segue, come un vero e proprio coming of age verso il lato oscuro, le vicende di un giovane vessato dai compagni di classe che troverà la sua rivalsa inserrendosi in una banda dedita a traffico di stupefacenti e piccole rapine.
Il dramma sempre dietro l’angolo, l’amore debitamente intriso di sesso e le leggi del gruppo colorano una storia forse già sentita, ma raccontata da dio.
Molto belle le caratterizzazioni coloratamente stereotipate sia dei membri della banda che del corrottissimo corpo di polizia. La migliore del lotto è senza dubbi però la magnetica Cintia Garcia nel ruolo di Lina.
Completano la meraviglia la bellissima Girona, della quale il film porta in vita i vicoli più torbidi in un 1978 pulsante di vita e di morte, e la vibrante colonna sonora affidata ai bravissimi Derby Motorreta Burrito Kachimba, alfieri della cosiddetta (da loro stessi) quinquidelia.