Il secondo album dei Casper Skulls segna una svolta, sorprendendoci per il cambiamento abbastanza evidente che ci siamo trovati di fronte.
La band aveva esordito nel 2017 con “Mercy Works”, un album che ci aveva piacevolmente colpito (qui la nostra recensione), con un sound che aveva riferimenti a diverse band, in particolare i Pixies e Sonic Youth in salsa pop, contraddistinto da una buona vena melodica e da un cantato che alternava abilmente la voce di Melanie St. Pierre and Neil Bednis.
In questo album i Casper Skulls cambiano, abbandonano anche una certa attitudine noise e rendono limpido il sound, sostituiscono il batterista con l’ingresso di Aurora Bangarth e Melanie St. Pierre diventa l’unica interprete, una virata verso un percorso maggiormente popolare nel quale restano certi momenti sognati.
L’inizio è con “Tommy” sulle note di un pianoforte per poi lasciare il palcoscenico alla chitarra, un pezzo gradevole ma con ampi passaggi già conosciuti, seguito da “Thesis” scelto come singolo, che è un bel brano pop con un ritornello accattivante.
In “Ouija” la voce si fa più insicura a tratteggiare una storia di fantasmi, pezzo più coraggioso anche nella sezione ritmica che accelera nel finale, uno dei brano migliori.
La band cerca di tracciare linee melodiche che non siano scontate, magari non riuscendoci sempre, ma comunque capaci di svilupparsi in brani sempre interessanti spesso lenti e sognanti, “Monument” e la title track “Knows No Kindness”, trasformandosi poi definitivamente in una formazione dream pop nei brani che chiudono l’album, “The Mouth” e la bella “Stay the Same” nel quale torna a essere protagonista il pianoforte a chiusura del cerchio.
“Knows No Kindness” ci restituisce dopo quattro anni una band trasformata che ci fa sentire ancora più lontano il loro esordio, una virata che sembra portarli verso una una scelta dream pop nel quale la voce particolare di Melanie St. Pierre riesce a dare una marcia in più.
Il futuro ci dirà se questa è la loro dimensione musicale definitiva, se i Casper Skulls torneranno sui loro passi o intraprenderanno altri percorsi, per il momento riesce difficile riconoscere in loro quelli di “Mercy Works”.
Per quanto personalmente avrei preferito assistere ad una evoluzione diversa del sound che avevano espresso nel loro ottimo esordio e avrei assolutamente mantenuto la presenza vocale di Neil Bednis, devo comunque riconoscere che “Knows No Kindness”, anche se decisamente meno interessante del precedente, resta un album che merita di essere ascoltato, ma questa è un’altra band ed è un peccato.