Questa sera è una di quelle importanti, perchè passa, finalmente, da Milano il tour più volte rischedulato dei Jesus and Mary chain, che piaccia o meno, sono uno di quei progetti che hanno rivoluzionato la storia del rock alternativo sin da quel folgorante esordio a nome “Psychocandy” datato 1985, ma andiamo con ordine,
Aprono le danze con grande piacere i Rev Magnetic, ennesima reincarnazione dello scozzese Luke Sutherland, già Long Fin Killie negli anni 90, incidono per Rock Action, etichetta dei Mogwai, con i quali collaborano.
Fanno un crossover di generi, dall’indie al folk, all’avanguardia, senza seguire alcun dogma, un approccio vero e sincero, il loro esordio “Versus Universe” uscito un paio di anni fa è un piccolo bignami di sperimentazione che fa da impalcatura a melodie sognanti cantate a due voci (Maschile / Femminile), dal vivo il set è più asciutto e il tutto si trasforma in un classico indie-rock ben suonato, senza fronzoli, il pubblico apprezza e regala applausi. Essendo l’ultima data del tour sul palco per il brano conclusivo bassista e chitarrista dei Jesus.
Come detto sopra, più volte rimandato per i soliti e noti motivi, a metà novembre è partito finalmente il tour celebrativo che i Jesus and mary chain hanno voluto tributare ad uno dei loro dischi più belli, quel “Darklands” uscito nel 1987 dopo “Psychocandy” che li aveva portati sugli scudi di un certo movimento alternativo in Gran Bretagna, capaci di miscelare la lezione dei Velvet Underground o degli stessi Doors con il post punk e certe atmosfere malinconiche figlie del gothic rock, il tutto con chitarre rivoluzionarie, che diventeranno poi punto di riferimento per il futuro movimento shoegaze, i Jesus sono considerati precursori di quell’ondata di band che tanto ha seminato e raccolto fino ai nostri giorni. Insieme a “Psychocandy”, il fratellino “Darklands” è sicuramente da annoverare tra i lavori migliori di quel periodo, più morbido e melodico dell’esordio, pieno zeppo di canzoni sublimi, che a distanza di oltre 30 anni, sono ancora lì a fare la differenza, insomma uno di quei dischi che non possono mancare sulla scrivania, già nei libri di scuola, una sorta di “Promessi sposi”, da mettere in programma se un giorno si studierà cultura musicale e perchè no, composizione e poesia.
Per iniziare, sono 10 canzoni tutte belle, quando si ascolta un album, è quasi fisiologico saltare da un brano all’altro, perchè qualcosa scricchiola, qui zero riempitivi e scrittura in stato di grazia, dovrebbe essere sempre così, ma ragionevolmente capita raramente.
Una celebrazione senza un compleanno ben preciso, semplicemente la voglia e la passione di risuonare una raccolta, così nasce questo nuovo giro di concerti dove c’è un leit motiv a impreziosire la scaletta.
Concerto diviso esattamente in due parti, se così si può dire, quasi un pièce teatrale; la prima appunto dedicata in toto a “Darlklands” e le 10 canzoni eseguite in ordine cronologico come l’album stesso impone.
La title track ad iniziare, figlia di quei rimandi al David Bowie berlinese, una “Happy When It Rains”, per il sottoscritto la migliore del disco, “April Skies”, la malinconica per eccellenza “Fall”, e un’acustica “About You” che chiudeva il lato b, ne ho citate solo alcune, ma come detto sopra, zero b-side e tutti potenzialmente singoli o brani manifesto di una generazione, sono poi uno di quei progetti che mette d’accordo un pò tutti.
Me li aspettavo esattamente così, silenziosi e statici, quasi introversi e riservati, icone su un palco minimale con telo bianco da sfondo, fila così precisa ed emozionante la mezz’ora di “Darklands”.
Cinque minuti esatti di pausa e incomincia il secondo tempo dello show, imperniato su una decina di brani presi qua e là nella vasta discografia, c’è dentro un pò di tutto, da un b side proprio di “Darklands” come “Happy Place” a “Drop”, passando per “I Love rock ‘n’ roll” fino alla conclusiva apocalittica e devastante “Kill Surf City”, rispetto al primo set, muri di chitarre a fare da padroni di casa con William Reid che sale in cattedra, sempre nell’ombra con rasoiate di distorsioni come non ci fosse un domani.
Chiude l’immancabile “Just like honey”, brano immenso che ha segnato davvero un’epoca, come se in 3 minuti passasse qualche decennio, e “Never Understand” sempre da “Psychocandy” nei conclusivi bis.
Concerto che lascia il segno, gruppo che non può mancare, anche solo per conoscenza, in colui che ha voglia di scoprire la musica, quella vera.
P:S. Grazie all’amico Lino Brunetti per le foto sotto il palco