Ritorno all’insegna dell’aggressività per i Bullet For My Valentine, veterani del metalcore di cui avevamo un po’ perso le tracce dopo i grandi successi di una decina d’anni fa. La band gallese ha pensato bene di non affibbiare un titolo al settimo album, concependolo alla stregua di un reboot di una carriera ormai stagnante, incrinatasi in maniera a dir poco preoccupante dopo l’accoglienza gelida ricevuta dal precedente “Gravity”.
Poche chiacchiere: c’è da rimboccarsi le maniche e provare a riconquistare i cuori di fan ormai cresciuti e disillusi. Da un punto di vista meramente commerciale, le aspettative per il quartetto capeggiato dal cantante/chitarrista Matthew Tuck non sono più quelle del quinquennio tra il 2008 e il 2013, quando ogni uscita a loro nome scalava le classifiche britanniche e statunitensi.
Il che non rappresenta per forza un male: i Bullet For My Valentine, ora che non devono più cavalcare le mode e prestare troppe attenzioni alle sirene del mainstream, non hanno davvero più nulla da perdere. Da qui la decisione di riaffilare gli artigli e graffiare gli ascoltatori con dieci tracce che guardano al versante più pesante, rabbioso, tecnico e “thrashy” (si dice? Non si dice? Noi lo diciamo) del metalcore melodico, con il consueto schema “strofa in growl/ritornello pulito e orecchiabile” a fare da bussola.
Grinta, passione, professionalità e poca voglia di avventurarsi in territori sconosciuti: i Bullet For My Valentine targati 2021, proprio come Roberto Carlino, non ci vendono sogni ma solide realtà . E soprattutto ci tempestano di pugni di godibilissimo, ultramoderno metal d’alta scuola: da non perdere le devastanti “Parasite”, “Knives”, “No Happy Ever After” e “Paralysed”.
Credit foto: Fiona Garden