Con cadenza quadriennale i Makthaverskan ci propongono il loro nuovo lavoro “För Allting” che fa seguito la loro ottimo album “III” del 2017.
La band di Göteborg – città svedese famosa per la vivace scena indie che ha pure partorito il genere definito Melodic death metal – non tradisce il proprio passato confermando la grande abilità nel riuscire a creare brani che uniscono suoni dark/gotici degli anni ottanta (Siouxy and the Banshees su tutti) a tessiture chitarristiche jangle e atmosfere malinconiche (o dark punk) che nascono e si enfatizzano grazie alla stupenda voce di Maja Milner, che, senza nulla togliere agli altri componenti della band, è l’essenza principale del progetto, capace di illuminare e creare ombre, di solleticare i nostri sensi, portandoci da stati di struggente malinconia fino a momenti di pacata serenità .
Dodici brani se si considerano l’intro e la traccia intermedia – entrambi un minuto e mezzo di suoni riflessivi e sperimentali – a spezzare la scaletta in due tronconi. Il disco si apre quindi con il brano “This Time”, anche signor singolo, di certo non scelto per puro caso. Ritmo veloce, chitarre che avvolgono con stupendi arpeggi la voce di Maja che si rammarica, ormai rassegnata, forse per una storia giunta alla sua fine ” Shame what a shame to end things this way”…
Vario e poco etichettabile, questo album ci offre sprazzi da cassettina C86 con “Tomorrow” e la conclusiva “Maktologen” con il suo ritornello scoppiettante e quell’ultima frase “Ho perso così tanto tempo aspettando una bugia” che ci costringe a riflettere su noi stessi e le nostre false illusioni.
Il “Dark Punk” di “Lova” è un brano perfetto per una discoteca gotica. “All I’ve Ever Wanted To Say” è una cantilena garage che ci getta fra le braccia della stupenda ” Ten Days” capolavoro chitarristico dove la voce di Maja e il siparietto “spaghetti western” elevano il nostro godimento ad altezze inaspettate.
Accattivante la melodia di “Caress” avvolta in quell’affascinante atmosfera dark che permea “These Walls”, brano romantico che impatta con il dream pop sporcato dalle peripezie strumentali della title track.
L’album convince, i Makthaverskan sanno viaggiare piuttosto bene con la macchina del tempo e questo salto negli anni ottanta è stato una ghiotta occasione per riassaporare quelle splendite emozioni legate a un periodo musicale tra i più prolifici di sempre.