Il primo passo verso la leggenda, ancora così distante dal sacro (e sudato) titolo di “re del pop”: Michael Jackson nel 1972 decideva ““ si fa per dire, visto che stiamo parlando di un Jacko appena 13enne ““ di pubblicare il suo primo progetto solista, lontano (ma non troppo) dall’ombra dei collaudati Jackson 5. Una scelta che con il tempo si rivelerà essere giusta su tutti i fronti, d’altronde un talento cristallino come quello di un tale enfant prodige ““ originario di Gary, Indiana ““ non poteva certamente passare inosservato. Ma facciamo qualche passo indietro: il piccolo Michael sembrava già viaggiare alla grande con i suoi fratelli, coi quali, giusto due anni prima, era riuscito a piazzare una hit immortale come “ABC” al primo posto della classifica Billboard ““ scalzando nientepopodimeno che “Let It Be” dei famigerati Beatles ““, restandoci per ben due settimane. E non era certo la prima volta che il gruppo raggiungeva un traguardo simile: già “I Want You Back” riuscì ad ottenere il medesimo piazzamento. L’enorme successo ottenuto con i fratelli, quindi, portò il piccolo Michael ad intraprendere la carriera solista, pubblicando due album ““ rigorosamente sotto Motown ““ nello stesso anno: “Got To Be There” prima e “Ben” dopo.
L’esordio di Jackson si rivela clamoroso sotto molteplici aspetti: come un ragazzino di 13 anni sia stato capace di imporsi con la stessa personalità di un Bobby Womack al suo primo disco solista, per me rimane ancora un mistero e sono sicuro che tanti altri appassionati si stiano tuttora interrogando sulla questione. Ma lasciamo per un attimo da parte tutte le smancerie presenti nei testi ““ dimentichiamo l’onnipresenza anche un po’ fastidiosa (ma d’altronde inevitabile) della tematica amorosa ““ e concentriamoci sull’esecuzione impeccabile di un vero e proprio fenomeno naturale al lavoro: in “Got To Be There”, insomma, non c’è una sola nota sbagliata dal cantante statunitense, perchè “Got To Be There” ““ e passatemi la ripetizione ““ è quel luogo in cui tutto viene eseguito alla perfezione, quella stessa perfezione che ti aspetteresti ““ e che, anzi, pretenderesti ““ da un veterano ormai consumato. Ci vuole coraggio per cominciare un viaggio verso la leggenda con una cover di “Ain’t No Sunshine” – del grande Bill Withers – senza che ti cedano le ginocchia al solo pensiero di doverla interpretare. Ma per il giovane Michael evidentemente questo non fu un problema: la sicurezza che tuttora emana è disarmante, il suo talento cristallino. Ora, moltiplicate questa sensazione per 10 volte ““ per 10 tracce ““ e riuscirete a capire con assoluta precisione quello che intendo dire. “Maria (You Were The Only One)”, la titletrack, “I Wanna Be Where You Are” e “Wings Of My Love” coincidono sicuramente con i momenti più alti del disco, dove la voce di mr. Jackson è capace di raggiungere picchi di puro godimento sonoro.
Cos’altro aggiungere quindi? La favola del ragazzino più talentuoso di quegli anni comincia qui. La scalata verso la conquista del trono della musica pop trae le sue origini dalla rivisitazione di brani immortali e di altrettanti brani scritti su misura per il piccolo Jacko ““ dove si rivelò prezioso il contributo di Elliot Willensky, giusto per citare una delle numerose mani invisibili presenti nel disco ““, da lui perfettamente interpretati. La leggenda che culminerà con l’ultimo “Invincible” nel 2001 è ancora tanto lontana e quell’evoluzione ci sembra ancora oggi quanto di più distante sia possibile dalla musica di quel ragazzino di appena 13 anni. Un ragazzino che forse tutto poteva aspettarsi, tranne che di poter cambiare per sempre la storia della musica. Nè tantomeno di poter vivere in eterno attraverso essa.
Pubblicazione: 24 gennaio 1972
Durata: 35:18
Dischi: 1
Tracce: 10
Genere: Pop
Etichetta: Motown
Produttore: Hal Davis, Willie Hutch
Registrazione: 1971-72