Dopo quasi sei anni di silenzio discografico, rifanno capolino anche i canadesi Billy Talent: poco stimati (o meglio, conosciuti) in Italia ed in Europa (solo in Germania hanno il loro zoccolo duro di fan), la band dell’Ontario arriva con questo “Crisis of Faith” al sesto tassello della loro carriera: carriera che li ha visti vendere oltre un milione di dischi nella madrepatria, ed oltre 3 in tutto il mondo, bene ricordarlo.
Piacevole sapere che ci sono ancora tutti i componenti originali della band, per quanto il batterista Aaron Solowoniuk, malato di sclerosi multipla, non sia più alle pelli ma faccia parte ancora a pieno titolo di ogni processo artistico e decisionale: alla batteria, ormai dal 2016, troviamo Jordan Hastings, già negli Alexisonfire.
Nuovo album, e cosa dire? Che se i primi due dischi li avevano eletti a paladini del punk-pop d’oltreoceano, la discesa prosegue costante, al netto dei buoni intenti e tentativi di tenere vivo il gioco. Pezzi come “I Beg to Differ (This Will Get Better)” puntano tutto sull’anthemico, senza apportare nessun aliquota di originalità ; altri come “Reckless Paradise” quasi scimmiottano i tempi andati (è la cuginetta depotenziata di “Devil in a Midnight Mass”). Se poi già nel pezzo d’apertura “Forgiveness I+II” si chiude con un “bel” solo di sax anni ’80, storcere subito il naso non sarebbe stato comunque un crimine.
Il resto scorre avanti tra ultra-sperimentati power chords, una scrittura trita e ritrita, agganci melodici scontati, qualche scarica punk al fulmicotone (“Judged”), che si alterna a momenti dai giri controllati (piacerà la capatina di Rivers Cuomo in “End of Me”, forse). Ma ai punti è davvero poco. Se poi i saluti, invece che un colpo di coda, ci viene offerto il banalissimo power-pop di “One Less Problem” e di “For You”, ciao core.
E ciao Billy Talent. Gli anni si sommano per tutti, del resto. Magari passassero…