Marsden & Richardson, aspetta, mi dicono qualcosa…fammici pensare…ma non sono quelli che sparano garage-blues-rock e piazzano bei muri chitarristici con i Band Of Skulls? Ma si certo, sono loro e…allora…che ci fanno qui in solitudine?
La partenza giusta per parlare di questo album non può che essere questa, perchè in fin dei conti l’album “Marsden & Richardson” vuole essere una vera e propria vacanza sia musicale, ma anche concettuale, rispetto all’avventura della band principale. Vacanza perfettamente riuscita, diciamolo subito.
Il primo pensiero, se dovessi trovare una similitudine, va al primo disco solista di James Iha (“Let It Come Down”, 1998), chitarrista degli Smashing Pumpkins, che sorprese tutti con un esordio delicato, debitore di suggestioni anni ’60, ipermelodico e sdolcinato se vogliamo, lontanissimo dall’assalto di certi brani dei Pumpkins. Ma era proprio quello che cercava Iha, un po’ di pace. Bene, ascoltando questa delizioso album della coppia Russell Marsden ed Emma Richardson sembra proprio che l’intento sia davvero quello di abbassare i toni, celebrare la malinconia più che la tensione, guardando a Nancy Sinatra e Lee Hazlewood o Simon e Garfunkel piuttosto che Led Zeppelin e Black Rebel Motorcycle Club.
Strano? Mah, più o meno. Marsden & Richardson infatti vi diranno che questo approccio più intimo va comunque a generare connessioni e vibrazioni che hanno sempre avuto, scrivendo insieme, ma in realtà ora tutto resta su un livello sonoro più semplice e immediato, senza cercare di trasformare il prodotto in qualcosa di più rumoroso o carico. Al massimo lo si impreziosisce con arrangiamenti d’archi superlativi. Tutt’altro che nascosta infatti è la voglia di pagare il tributo a suggestioni cinematografiche che guardano a un lontano passato, come se ci trovassimo negli anni ’50 e ’60 e qui il merito va al lavoro magistrale di Tom Edwards, insuperabie direttore d’orchestra. Nasce quindi così questo disco omonimo che trasuda eleganza e garbo. Il duo, scrivendo, lavora per sottrazione, creando piccole perle melodiche che si basano per lo più su piano, chitarra e delicate linee vocali e poi ecco che, in ogni brano, arrivano i preziosi arrangiamenti ad aumentare il livello d’empatia. Niente di barocco o pomposo, anzi, tutto molto romantico, gentile e in linea con il mood, ma sicuramente di grande effetto.
In un disco che celebra la malinconia, il sentimento e la nostalgia, che guarda con delicatezza a una svariata gamma di emozioni umane come la vulnerabilità , l’amore, la necessità del perdono e la capacità di guardare con speranza al futuro, beh, i toni non potranno che essere morbidi e avvolgenti e il merito di Marsden & Richardson è quello di creare melodie impeccabili, senza tempo e ricche di fascino, capaci di conquistarci all’istante, lasciando che la mente vada ad agganciarsi subito ad immagini o persone del nostro passato che questa colonna sonora, inevitabilmente, richiama.
Dovessimo citare qualche titolo, beh, lasciatemi dire che piace molto la solennità di “Outsider”, l’incalzante groove soul di “Beautiful Love”, lo struggimento di “Mama” e poi la perla di “Oh Forgiveness” bossa-nova che trasforma la malinconia in saudade e poi ci porta a un finale quasi in zona Primal Scream di “Give Out But Don’t Give Up”. Chi ricordasse con affetto il New Acoustic Movement e, in particolare, Ben & Jason, band che spiccava fra tutte per intelligenza nel songwriting e cura negli arrangiamenti, beh, sappia che canzoni come “That’s What Other People Do” o “Closer Together” lo riporteranno proprio al quel mondo sonoro. Arriviamo alla fine (la bellissima e quasi McCartneyana “Why Do You Have To Be So Beautiful”, sostenuta da un giro semplicissimo di piano e un piacevole climax che esalta squisite armonie vocali) con uno stato di benessere assoluto che ci accompagna anche motlo dopo l’ascolto: diamo pieno merito a Marsden & Richardson per averci trasmesso questa beatitudine e aver scommesso sulle loro capacità cantautoriali, vincendo su tutti i fronti.
Credit Foto: John Ross