Neil Young è un artista legato indissolubilmente alla storia del rock. Neil Young in “Harvest”, il suo assoluto capolavoro, è un vero poeta. Facile usare una parola legata spesso alla musica e alla letteratura per il canadese, ma i poeti e gli anarchici, come scrisse una poetessa sudamericana, sono sempre i primi ad arrivare. Sulla seconda categoria mi permetto di sospendere il giudizio, ma Neil Young è un vero uomo di frontiera, di quelli che spostano le lancette in avanti non perchè schiavo dell’innovazione, ma perchè artefice di una rivoluzione continua in se stesso.
Ogni parola in “Harvest”, nonostante i testi non siano il pezzo forte di Young, è un atto di resistenza: ascoltarlo a 45 anni dalla sua pubblicazione non è solo un esercizio per ricordare un grande album o un grande musicista, mettere “Harvest” sul piatto del vinile, nello stereo o riprodurlo su Spotify è una promessa con noi stessi.
Proprio Young infatti, nonostante alcuni considerino l’album inferiore a “After The Gold Rush”, riesce a creare qualcosa di nuovo, accostando inscindibilmente il sound country alla sua voce, alla sua chitarra.
Quando si parla di un album uscito 45 anni fa non c’è bisogno di un giudizio tecnico, la storia ha già dato il suo responso, l’unica cosa che si può fare è magari consigliare le vere gemme del disco che sono “Old Man”, “Words” e l’immancabile “Harvest”, coverizzata in maniera eccelsa dai Verdena.
Il suono di “Harvest” è uno dei migliori di tutta la carriera del canadese, la sezione ritmica composta dal bassista Tim Drummond e dal batterista Kenny Buttrey è assolutamente leggendaria ed è uno dei motivi per cui è impossibile non amare quest’album.
Logicamente è sotto gli occhi di tutti l’influenza di Nashville e delle atmosfere elettro- western, ma non è solo per questo che “Harvest” deve essere ricordato.
Il disco, come solo i grandi sanno fare, esprime contraddizioni forti della condizione umana, ad esempio il canadese canta in “Are You Ready For The Country?”: “Stavo parlando con il predicatore, diceva che Dio è dalla mia parte. Poi ho incrociato il boia, che diceva “è ora di morire”.
Nel 1972, quando il lavoro di Young vede la luce, il mondo è nel bel mezzo di una tregua in Vietnam: il cantautore con quel clima ha molto a che vedere, e ancora oggi è molto attivo dal punto di vista politico. Il viaggio di Neil è simile a quello di molti soldati, poeti, artisti dell’Asia; in un curioso romanzo “Il pesce gatto e il Mandala” di Andrew Pham, autore con origini radicate in Vietnam c’è una frase curiosa: “He started his journey to find his roots, his essence, but instead Andrew Pham learned something else entirely: the human condition. His travels carved into him experiences and memories that altered his outlook on life”.
Young fa lo stesso percorso, seppur in un contesto geografico diverso: “Harvest” è un canto dell’anima, della terra, è l’applauso del country al mondo.
Harvest ““ “Neil Young”
Data di pubblicazione: 1 Febbraio 1972
Tracce: 14
Durata: 37:11
Etichetta: Reprise
Produttore: Neil Young, Elliot Mazer, Henry Lewy, Jack Nitzsche
Tracklist:
1. Out on the Weekend
2. Harvest
3. A Man Needs a Maid
4. Heart of Gold
5. Are You Ready for the Country?
6. Old Man
7. There’s a World
8. Alabama
9. The Needle and the Damage Don
10. Words (Between the Lines of Age)